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Omicidio all’italiana, di Maccio Capatonda

3 min di lettura

Ad Acitrullo, paesino abruzzese arroccato in mezzo al nulla con 16 abitanti, una ricca vedova muore strozzata mentre cena, e il sindaco Piero Peluria pensa bendi trasformare l’incidente in un omicidio per poterne sfruttare l’onda mediatica sulle orme di Cogne, Novi Ligure ed Avetrana.

Omicidio all'italianaMaccio Capatonda rimette in scena su grande schermo il suo universo letterario linguisticamente sfrenato per declinarlo questa volta secondo il canovaccio del genere: all’interno del canone il comico si muove quindi con disinvoltura, e come nella sua opera prima (Italiano Medio) decide di scrivere una storia che dall’inizio alla fine non viva, se non in casi sporadici, di gag isolate, ma corra lungo un filo ideologico e narrativo.
Omicidio all’Italiana diventa allora Idiocracy all’Italiana: Capatonda è da sempre capofila di un mondo figlio del ventennio di incontrastato dominio televisivo, dove quindi ogni cosa – dai personaggi alle storie fino alla scrittura e alla recitazione- è figlia di quel (povero) immaginario, sbranato fino all’osso dalle reti commerciali e imbrigliato in una stratificazione di volgarità, ignoranza e pochezza artistica.
Su queste coordinate quindi l’autore imbastisce una trama gialla che sfocia nel surreale ma perfettamente fruibile in sé: senza sbavature, inserisce i suoi topoi e si sbizzarrisce nei suoi giochi lessicali, in un bestiario unico e irriverente che mette alla berlina di tutto.
E pian piano lo sberleffo diventa irrisione del potere: quel (stra)potere televisivo che da sempre Maccio ha inseguito, imitato e alla fine additato come causa ed effetto di una regressione culturale spaventosa ed abissale, dovuta ad una massificazione di gesti ed abitudini ossessivamente ripetuti in una coazione a ripetere senza senso nè nesso- una regressione che si risolve prima di tutto in una irrisolutezza linguistica madornale e a prima vista divertente, ma che poi conduce ideologicamente alla povertà di spunti e di interessi per concludersi e morire in una desertificazione dell’immaginario.
Sono macerie culturali, e non geografiche, quelle di Acitrullo raccontate da Maccio: e se non sono le macerie inquietanti di Ciprì & Maresco (fonte di ispirazione dichiarata dell’autore) è solo perché la volgarità sbraca nella risata (voluta e ricercata, siamo pur sempre in un film – apparentemente – comico) e perché Capatonda trova la perversione del macabro e la unisce ad una componente dissacrante e ironica da sempre innestata in ogni sua invenzione.
Come Donatella Spruzzone, interpretata in maniera fine e intelligente da Sabrina Ferilli, capofila dei personaggi capatondiani alla quale sono affidate le frasi più rappresentative del film: “una volta che passa dentro quella scatola, tutto diventa puro intrattenimento, e la verità non conta più niente” dice la giornalista al poliziotto che insegue più una poltrona in tv che il colpevole.
Proprio qui si crea il vortice di senso di Omicidio All’Italiana: dove descrive in maniera limpida e impietosa le aberrazioni di un paese preda della macelleria dello show, perché dove si crede più alla televisione che alla realtà, più al simulacro riprodotto di una verità ormai contraffatta, è proprio lì che vive la contraddizione dei nostri giorni, e il corto circuito che rivitalizza il cinema di Capatonda. “Scappiamo! I giornalisti stanno venendo ad arrestarci!

Gianlorenzo Franzì

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