Omicidio Roberta Lanzino, trent’anni senza una risposta
4 min di letturaSono trascorsi trent’anni da quel 26 luglio 1988, giorno in cui si spense la giovane vita di Roberta Lanzino, violentata e uccisa nei pressi di Falconara Albanese. I colpevoli non sono mai stati identificati.
Una vita spezzata troppo presto, con furia animalesca, in un torrido pomeriggio di una estate calabrese. Sono passati trent’anni dall’uccisione di Roberta Lanzino, la ragazza di Rende che il 26 luglio 1988 salì in sella al suo motorino per andare a mare con la sua famiglia a San Lucido, in contrada Miccisi, e non arrivò mai, preda di uno o più aguzzini che le tolsero la vita.
Chi era Roberta Lanzino?
Roberta Lanzino aveva 19 anni in quel 1988. Era studentessa all’Unical, al primo anno di Scienze economiche, e veniva descritta da tutti come una ragazza allegra, seria e diligente. Una ragazza che amava studiare, aspirava a una certa indipendenza, naturale a quell’età, ma che era molto legata alla sua famiglia.
La scomparsa di Roberta
Martedì 26 luglio 1988 in casa Lanzino fervono i preparativi per la partenza per le vacanze nella villetta di San Lucido, sul litorale tirrenico calabrese.
Franco e Matilde Lanzino partono insieme alla figlia Roberta nel pomeriggio, intorno alle 16: i genitori guidano l’auto e Roberta, davanti loro, lo scooter blu del fratello.
Dopo pochi minuti dalla partenza i Lanzino si fermano a comprare qualcosa per la cena della sera; Roberta si accorge che i genitori si sono fermati, ma prosegue, tranquilla che tra pochi minuti l’avrebbero raggiunta. La studentessa non prende la strada statale 18, la via più semplice ma poco sicura per un mezzo a due ruote, ma sceglie un’altra strada: prende la cosiddetta “strada vecchia”, una stradina tortuosa, poco battuta e coperta dalla boscaglia. Roberta si perde.
Dopo circa un’ora i Lanzino arrivano a San Lucido sicuri di trovare nel vialetto fuori casa il motorino parcheggiato e Roberta ad aspettarli dentro casa. Ma il motorino non c’è, né tantomeno Roberta.
Le ricerche partono subito. Franco Lanzino e i carabinieri battono palmo per palmo la strada che avrebbe dovuto prendere la giovane studentessa fino all’arrivo delle tenebre.
Il ritrovamento del cadavere
Lo scooter blu viene ritrovato nella notte, gettato in un dirupo, ma di Roberta nessuna traccia. Comincia ad aleggiare nell’aria l’ipotesi di un rapimento, ma nemmeno il tempo di organizzare le eventuali azioni da compiere che in casa Lanzino arriva la notizia che nessun genitore vorrebbe mai ricevere: è stato trovato il corpo di Roberta.
La ragazza è morta. Roberta è tra i rovi, mezza nuda; i vestiti sono a breve distanza dal cadavere e il corpo conta varie ferite da percosse e da taglio. Roberta è morta soffocata dalle spalline che uno o più assalitori le hanno conficcato in bocca e a causa di una coltellata che le ha rescisso la carotide.
Le indagini cominciano
Secondo il magistrato Domenico Fiordalisi della Procura di Paola, Roberta, persa nel bosco, avrebbe chiesto ad alcuni lavoratori e passanti le indicazioni per San Lucido, per il mare, come hanno sostenuto dei testimoni, per poi imbattersi con delle persone che l’avrebbero abbordata e abusato di lei per poi sgozzarla.
Le indagini vertono su un pastore del luogo, Rosario Frangella, il cui recente passato segnato da alcuni attacchi di schizofrenia desta molti sospetti agli inquirenti.
La sparizione dei vestiti della ragazza
I rilievi però non sono stati effettuati da prassi e molte tracce sono state sottovalutate e perse, così come gli indumenti della giovane, misteriosamente scomparsi pochi giorni dopo l’omicidio.
L’unica prova che potrebbe incriminare Rosario Frangella, il DNA del liquido seminale trovato su Roberta, non risulta compatibile con l’indiziato. Anche il fratello e il cugino del contadino, Luigi e Giuseppe Frangella, finiscono nel fascicolo degli indagati. Le loro deposizioni sono contraddittorie, approssimative – Luigi Frangella sostiene anche di aver dato delle indicazioni a Roberta quel pomeriggio del 26 luglio –, ma nessuna vera prova pende a loro carico.
Un omicidio senza colpevoli
Le indagini si ficcano in un vicolo cieco dal quale non usciranno più, neppure quando nel 2015, i sospetti circa un pastore dal nome Luigi Carbone (morto da qualche tempo di lupara bianca) e Franco Sansone, non portano a riaprire il fascicolo sulla uccisione di Roberta Lanzino.
Anche in questo caso gli esami del DNA scagionano pienamente i due sospettati. La Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro assolve con formula piena Franco Sansone lasciando quello di Roberta Lanzino come uno dei tanti casi irrisolti d’Italia.
Per ricordare la sventurata ragazza, nel pomeriggio del 26 luglio, alla chiesa S. Antonio di Rende sarà celebrata una messa in suffragio. Nel 1989 a Rende è stata costituita la Fondazione “Roberta Lanzino” ONLUS contro la violenza sulle donne e sui minori per aiutare le persone in difficoltà e per mantenere viva la memoria di quella ragazza che il 26 luglio di trent’anni fa voleva dirigersi a mare ma cadde nella bocca di qualche mostro che le strappò la vita.
Antonio Pagliuso