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Omicidio Tramonte – Cristiano. Stefania Tramonte: cerco ancora la verità dopo 27 anni

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La figlia di Tramonte, Stefania, ci racconta la storia di quella strage: la memoria è necessaria

LAMEZIA. È il 24 maggio del 1991, l’orologio non segna neanche le 3 del mattino ma c’è già chi si incammina per iniziare la propria giornata di lavoro.

Pulire le strade, questo è il lavoro di Francesco Tramonte, detto Ciccio dagli amici. Ha quarant’anni, una moglie giovane, tre figlie piccole. E un lavoro. Pulire le strade di Lamezia Terme. Lavora per il comune e come lui anche il collega Pasquale Cristiano. Nessuno dei due ha il compito di salire sul camioncino per svuotare i cassonetti dell’immondizia eppure quel mattino, come diversi altri prima di allora, per vari motivi si ritrovano sul quel veicolo insieme. Con loro anche un altro netturbino, Eugenio Bonaddio, dipendente Sepi. I tre arrivano in contrada Miraglia, a Sambiase, che sono pressappoco le 5. È l’alba.

L’ultima alba per Francesco Tramonte e Pasquale Cristiano.

Un’alba di fuoco.

Un uomo con un mitra, fino a quel momento nascosto probabilmente dietro i cassonetti, inizia a sparare contro Tramonte. Sono circa 18 i colpi che lo hanno raggiunto, uno dei quali ha colpito mortalmente anche Cristiano. Bonaddio riporterà, oltre alle ferite, il ricordo delle grida dei colleghi morenti.

Dopo 27 anni abbiamo solo una sentenza che ci conferma la morte dei due netturbini per mano ‘ndranghetista, tuttavia assolve l’unico sospettato, tale Agostino Isabella.

Sappiamo perché, dunque. Tuttavia non sappiamo chi.

Una domanda, questa, che da 27 anni si pone anche Stefania Tramonte, la seconda figlia di Ciccio. All’epoca aveva 11 anni, poco più che una bambina alla quale una mano oscura ha strappato una vita che poteva essere e non è stata. Una vita che ha dovuto prendere una strada tutt’altro che programmata, il cui punto d’inizio è proprio lì, nella silenziosa contrada Miraglia.

Stefania Tramonte, che oggi è una donna forte e fiera della memoria di suo padre, non ha usato mezzi termini. “La morte è sempre terribile, soprattutto se qualcuno decide di strapparti alla vita. Sono andati lì ad uccidere degli innocenti, dei lavoratori. È stato un agguato, li aspettavano. Nessuno ha sentito nulla, nessuno ha visto nulla nonostante il silenzio e le case così vicine. Non hanno visto, non ricordavano. Continuano a non ricordare. Quel segnale quindi non è arrivato solo al comune, ma anche ai cittadini: da quel giorno s’è capito che tutti dovevano avere paura! È stato un atto di terrorismo, la città è stata gettata nel terrore”.

“Gli appalti per la nettezza urbana, questo era lo schema alla base di tutto”, Stefania ha le idee chiare, rinforzate da anni di riflessione e ricerca. “Avevano giocato un ruolo pesante anche in campagna elettorale con i voti di scambio, infatti dopo qualche mese dalla morte di mio padre il consiglio comunale fu sciolto per mafia”.

Le indagini hanno preso subito la via degli appalti, fu pescato il sospetto e iniziò il processo. Ma finì in un nulla di fatto. “Mia madre e mia sorella maggiore seguivano il processo, io stavo a casa con la sorellina più piccola. Un giorno sono rientrati tutti in preda alla disperazione perché l’unico indagato era stato assolto. Purtroppo il solo testimone a nostro favore, Bonaddio, non riuscì a riconoscerlo. Non ci fu possibilità di ricorrere in appello perché il pm presentò in ritardo la richiesta. Un altro enigma: come si fa a non presentare ricorso davanti a una strage del genere? Dopo quasi trent’anni è difficile trovare spiragli per riaprire il caso, ma la speranza è ancora viva. Molti soggetti che probabilmente erano coinvolti sono morti. L’auspicio è che parli qualche pentito di vecchia data”.

Tuttavia gli interessi intorno al caso Tramonte – Cristiano sono sempre stati molti e non del tutto chiari “Il punto è che non si tratta solo di aspetti legati alla ‘ndrangheta: di mezzo c’è anche la politica. Fin dall’inizio si sono coperti dei nomi che ad oggi ancora non conosciamo. Dopo qualche mese hanno ucciso anche il sovrintendente di polizia Aversa, lui si occupava del consiglio comunale sciolto che aveva inevitabili relazioni con l’assassinio di mio padre e di Cristiano”.

Non c’è desiderio di vendetta nelle parole di Stefania Tramonte, non è la sete di una giustizia a tutti i costi a muovere i suoi passi. Gli occhi di Stefani, i gesti delle sue mani mentre racconta, la sua voce forte eppure delicata, chiedono solo una cosa: la verità. “Vorrei sapere la verità non solo per chiedere una giusta pena, ma soprattutto per vedere la faccia di chi era coinvolto. Voglio sapere. Ormai non cambia nulla che vadano in prigione o no, cambia però conoscere come sono andate le cose. Il dolore che ci hanno provocato non sarà una condanna ad alleviarlo, ma la verità ci serve. Io e la mia famiglia non proviamo odio: ci mancherebbe solo questo oltre al dolore!”.

E se nei tribunali purtroppo tutto tace, per le strade deve continuare a vivere la memoria di quei due uomini che, nel pieno svolgimento del loro lavoro, sono strati trucidati per interessi superiori.

Stefania Tramonte è una convinta sostenitrice del valore della memoria. “Alimentare la memoria è utile. Per un periodo era tutto insabbiato, non li ricordava nessuno. Dobbiamo rilasciare la nostra testimonianza per loro. Se taccio pure io, allora è finita. Se da una parte si è cercato di dimenticare, dall’altra si nutre la ricerca della verità”.

Una verità che ad oggi nessun tribunale ha sancito eppure Stefania Tramonte, la sua famiglia e quella di Pasquale Cristiano non hanno perso la speranza di riuscire a raggiungerla.

Daniela Lucia

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