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Pd, mostra permanente: gestione provincialistica e di decrescita culturale

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A distanza di molti giorni da una serie di domande sull’operato della sua amministrazione in ordine alla selezione dei dipinti della mostra permanente allestita nel palazzo comunale, il sindaco Mascaro invece di rispondere, anche nello spirito di trasparenza che dovrebbe improntare il suo rapporto con cittadini, associazioni o partiti e nel rispetto della Legge 241/1990, mostra sprezzo verso le giuste richieste di chiarezza sul metodo di scelta degli artisti invitati che gli sono pervenute da più parti. Noi però non demordiamo, perché sosteniamo che la legalità non va solo urlata, ma praticata

Comunicato Stampa

Il ruolo dell’opposizione attiene alla politica. E il PD intende esercitare il diritto di valutare le scelte, senza dubbio politiche, dell’amministrazione in carica. Ma con un sindaco che nasconde la verità, come hanno sottolineato in questi giorni anche le organizzazioni sindacali a proposito del Piano del fabbisogno del personale, il confronto politico diventa difficile e inevitabilmente ripetitivo.

Un atteggiamento, questo, che ha contagiato anche la Giunta comunale, se è vero che l’assessore alla Cultura, Giorgia Gargano, decide di non dialogare con la città sulle scelte di un ente pubblico, qual è il Comune, cioè la Casa di tutti i cittadini. E il PD, da protagonista attivo della vita cittadina, intende esercitare il ruolo politico di controllo a dispetto del tentativo di spegnere ogni forma di dibattito.

Oltre alla mancanza di chiarezza ci sorprende il provincialismo con cui è stata gestita l’intera vicenda che è offensivo della dignità degli artisti lametini (partecipanti e non partecipanti). L’assessore sa bene che anche l’arte ha la sua grammatica e la sua sintassi, ed è per questo che tutti gli enti pubblici – trattando questioni attinenti agli interessi della collettività – devono dare conto dei programmi e del governo delle procedure, con la massima trasparenza possibile. Per esempio, l’assessore non poteva disconoscere che il Comune – trattandosi della Casa di tutti – avrebbe dovuto seguire una procedura chiara con un avviso pubblico di partecipazione indicando la categoria dei partecipanti (se giovani o meno), provenienza, dimensioni delle opere, se già esposte o meno, eventuale materiale illustrativo, ecc. Nello stesso bando si sarebbe dovuto fare riferimento all’esistenza di una commissione scientifica di valutazione delle opere da selezionare composta da soggetti con certificata conoscenza della grammatica dell’arte.

Tutto questo non per il mero rispetto di procedure burocratiche, ma soprattutto perché ne va di mezzo il valore educativo dell’intera operazione, che non consente di fare emergere il merito all’interno di un intero territorio (se il limite di partecipazione era comunale), parametro imprescindibile di tutte le scelte di una pubblica amministrazione. Il forte messaggio diseducativo, che emerge dal provincialismo della conduzione dell’iniziativa, fa più male di un atto meramente illegittimo. Quanto accaduto è un messaggio di infelice decrescita culturale.

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