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«Piriculicchia, piristindicchjia»: che significherà mai!?

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«Piriculicchia, piristindicchjia piglia ᾿a chiavi e ràpiri cca»: sul piano semantico si è certi solo sulla costituenza finale che invita a prendere le chiavi e ad aprire; il senso successivamente s’infittisce fino a diventare oscuro!

Quanto all’uso alcuni sostengono che sia una specie di formula magica (come l’abracadabra), che veniva recitata nel gioco che si faceva tra due fanciulli, uno dei quali doveva indovinare in quale dei due pugni chiusi dell’avversario fosse stato nascosto un determinato oggetto. Non solo, mi permetto di aggiungere!

A parer mio questa filastroccata è equivalente di «chistu vò pani, chistu vò bbinu, chistu ᾿und’avimu, chistu jamu a rubbari, chistu piru pirillu pirainella»: nella partizione della domanda/offerta del micro-testo succitato (il pane per il pollice, il vino per l’indice, il nulla per il medio, un furto stile Lupin per l’anulare, una terna assai ambigua per il mignolo) venivano additate vivacemente le falangi dei propri teneri pargoletti. Qual era la morale? Prepararsi alla vita. Perché direte!?

Nel simbolismo cristiano la pera appare spesso in connessione con l’amore di Cristo per l’umanità, nonostante essa rimanga sempre un frutto vicino alla mela, che da sempre assume il significato di tentazione ed associata al peccato originale. Che c’entra tutto questo, potreste chiedere!? Bè, «piru pirillu pirainella», per tre volte (di cui due nella forma diminutiva), è proprio quest’alimento succoso della nostra mensa e dispensa: sfamarsi è necessario, ma non per questo occorre rifarsi al malaffare per provvedere alla propria sussistenza. Il tutto, detto ludicamente, sottotraccia! Che dire dell’altra locuzione, arrivati a questo punto!? I due termini iniziali, a mio avviso, sono da rapportare al latino «periculum» («pericolo») e alla voce dialettale «stindìri» («stendersi»); per il resto il rituale era identico: sfiorare le parti prensili delle manine aperte valeva come regola medesima. Chissà se Virgilio fece la stessa cosa con Dante in quel celebre verso che dice: «lo duca mio distese le sue spanne» (Inf. VI v. 25). Ovviamente no, ma mi piace pensarlo, perché non potrei!? Per quanto mi riguarda ravviso in questo gioco verbale una sorta di cantilena preparatoria alla nanna: il piccolo marmocchio era avviato tra le braccia di Morfeo per via della stanchezza visiva con cui si accompagnava nel ripasso di ognuna delle dita toccate.  La reiterazione del gioco verbale apriva, a mo’ di chiave, la stanza del dolce dormire.  Poi è venuta la preghiera di Papa Francesco….ma qui tocchiamo altre corde, mi sa!

Il pollice è il dito a te più vicino

Comincia quindi col pregare per coloro che ti sono più vicini. Sono le persone di cui ci ricordiamo più facilmente. Pregare per i nostri cari è “un dolce obbligo”.

Il dito successivo è l’indice

Prega per coloro che insegnano, educano e curano. Questa categoria comprende maestri, professori, medici e sacerdoti. Hanno bisogno di sostegno e saggezza per indicare agli altri la giusta direzione. Ricordali sempre nelle tue preghiere.

L’altro ancora è il più alto

Ci ricorda i nostri governanti. Prega per il presidente, i parlamentari, gli imprenditori e i dirigenti. Sono le persone che gestiscono il destino della nostra patria e guidano l’opinione pubblica… Hanno bisogno della guida di Dio.

Il quarto dito è l’anulare

Lascerà molti sorpresi, ma è questo il nostro dito più debole, come può confermare qualsiasi insegnante di pianoforte. È lì per ricordarci di pregare per i più deboli, per chi ha sfide da affrontare, per i malati. Hanno bisogno delle tue preghiere di giorno e di notte. Le preghiere per loro non saranno mai troppe. Ed è lì per invitarci a pregare anche per le coppie sposate.

E per ultimo arriva il nostro dito mignolo

Il più piccolo di tutti, come piccoli dobbiamo sentirci noi di fronte a Dio e al prossimo. Come dice la Bibbia, “gli ultimi saranno i primi”. Il dito mignolo ti ricorda di pregare per te stesso… Dopo che avrai pregato per tutti gli altri, sarà allora che potrai capire meglio quali sono le tue necessità guardandole dalla giusta prospettiva.

Le differenze con le nostri espressioni popolari!?

Quelle conciliano il sonno, quest’ altro lo spirito.

Scegliamoli entrambi, così siamo pari e patta.

Ps: a proposito, per schiacciare un pisolino, anziché contare le pecore, suggerisco pure questo ritornello (sembra che funzioni!):

«Jiandu e vinìandu cuttuni cuglìandu,
jìandu allu jummi cuglìandu cuttùni».

Prof. Francesco Polopoli

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