A Pizzo convegno regionale sulle baby gang
3 min readL’allarme baby gang non riguarda solo Napoli, in tante altre realtà si moltiplicano i segnali di una violenza diffusa tra i giovanissimi.
Comunicato Stampa
La Calabria non è risparmiata. Servono azioni sistemiche, ma nell’immediato occorre mettere in campo operatori sociali di strada, esperti, che individuino i leader dei gruppi e li smantellino.
Le forze dell’ordine da sole non bastano. Le famiglie e la scuola non possono rimanere indifferenti o fare finta di nulla. Quella delle baby gang, con giovanissimi ragazzi, che prendono di mira un coetaneo a caso e lo aggrediscono con una violenza fuori controllo è una situazione esplosiva, che davvero preoccupa anche gli operatori più esperti, che meglio conoscono la vita di strada e la marginalità.
E’ un allarme serio. Occorre non solo la repressione ma soprattutto necessita la prevenzione. Dopo anni di impegno ed esperienza sul campo si rimette l’educazione al centro della questione, con una scommessa importante sulla individuazione di agenzie educative capaci di ascoltare, di operare in sinergia tra scuole, famiglia parrocchia, gruppi sportivi, luoghi diversi.
Quello che sta accadendo a Napoli non riguarda solo Napoli ma segnali analoghi, forse, non così forti, avvengono anche in altri luoghi del Sud, anche in Calabria.
Spesso i docenti sono in difficoltà ad intervenire, perché questi gruppi di ragazzini ti danneggiano la macchina. Non stiamo parlando di bambini delle elementari ma di 15-16enni agguerriti: anche la scuola da sola non può fare molto, la questione è la scarsa presenza dello dello Stato. Non si può e non si deve intervenire quando ormai il misfatto è compiuto.
La dinamica, la si riassume così: sono alcuni ragazzini con problematiche complesse, che vengono da una forte povertà educativa, che vivono la violenza come strumento di affermazione.
Spesso sono ragazzi con un senso di inferiorità, accade spesso che la debolezza psicologica si trasforma in violenza. Gli autori diventano leader devianti e manipolano il gruppo, portandolo a compiere gesti che singolarmente nessuno, compierebbe. Necessita una strategia completa fra la scuola e tutto ciò che ci circonda.
Occorre individuare anche un’azione nell’immediato e censire i gruppi “a rischio”: mettere in campo gli operatori sociali che hanno competenze di strada.
E’ facile individuare i gruppi di questo tipo e i leader, smantellare i luoghi dove questi gruppi si riuniscono. I ragazzi poi vanno presi singolarmente, con un percorso di tutoring e mentoring. Bisogna operare in maniera mirata.
Alle scuole vanno date risorse per costruire delle task force con operatori sociali di strada che già sono attivi sul territorio e lo conoscono, per smontare sul nascere i gruppi devianti, quartiere per quartiere.
Il fenomeno mette in discussione il modo di essere delle famiglie. Bisogna ritagliare del tempo da dedicare ai figli. Saper ascoltare. Ascoltare anche quello che non dicono. Fare un un uso intelligente dei social network e dei telefonini.
La scuola, dove non è in grado la famiglia, deve essere capace di educare all’uso corretto e mettere sul piatto i pericoli di un uso distorto delle chat e/o facebook.
Non bisogna trascurare il pericolo del cyber bullismo e delle diverse forme di violenza che si generano da internet.
Coinvolgono, è vero, non solo i ragazzi ma loro in maniera particolare. Educare è la parola vincente per prevenire e per addivenire ad un uso consapevole.
Proviamo così a dare vita ad uno spessore culturale diverso a far crescere la consapevolezza per diventare UOMINI e DONNE che trovino nel rispetto degli altri anche il modo di avere rispetto di sè.
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