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Una poesia autografa di un filosofo meridiano: Francesco Fiorentino

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Una poesia autografa di un filosofo meridiano: Francesco Fiorentino

Una poesia autografa di un filosofo meridiano: Francesco Fiorentino

Non è mia intenzione parlare, in questa sede, del Filosofo: in un click ne scopriamo con facilità il profilo biografico ed il suo spessore culturale, quindi non lo faccio a bella posta.

Solo qualche pillola di sapienza, tutto qui, ma a piccole dosi. Sulla scia dell’hegelismo riteneva infondata qualunque filosofia slegata dalla tradizione storica, quasi a dire: nulla si legittima senza il buon peso della memoria. Come dargli torto?

Se poi curviamo l’attenzione ai suoi saggi umanistico-rinascimentali o ai suoi studi telesiani lo scopriamo attento filologo di ricostruzione storica: dato che conferma il nerbo critico della sua personalità, che non fa una grinza con quanto finora detto.

Come divulgatore disciplinare, il Mezzogiorno, poi, gli è grato per il Manuale della Storia della Filosofia ad uso dei Licei: erano tempi in cui i Sapienti facevano della Scuola banchetto di Sapienza.

Un esempio, potremmo dire: beh, oggi, tutto ciò, è solo un argomento scottante e raggelante, scusandomi per l’antitesi ossimorica, perché i sapienti se ne stanno scappando tutti a spron battuto.

Tornando al nostro uomo del Sud, per stemperare i toni polemici, pronti ad incalzare senza essere frenati, pochi sanno della sua vena poetica, forse perché la versificazione è ritenuta penna inusuale della speculazione: eppure, me lo sa spogliare dei panni curiali del suo magistero per consegnarlo in quelli da comunissimo uomo.

Già, uno striptease, ahah! Bando alle ciance, parafrasando Le parole che non ti mai detto di Nicholas Sparks, è il caso proprio di dire: ecco a voi Le emozioni che non avreste mai pensato per un cultore del Logos come lui.

Affaccendato, sicuramente: basti ricordare gli impegni da buon docente universitario o i contributi da valido socio presso l’Accademia dei Lincei; ma le palpitazioni, quelle sensazioni inesprimibili che ognuno riconosce, quando vive delle situazioni, eccome se non le ha vissute!

E nemmeno le ha taciute: ed il cuore nella sua testa ci rende di lui l’immagine più vera. Eh sì! Allora, seguiamolo….

D’un raggio colpita, preziosa, sfavilla

e inquieta s’aggira la bruna pupilla,

leggiero s’effonde pel pallido viso

un dolce sorriso, sorriso d’amor.

Se in te, mia diletta, le luci dismago

mi trema dinnanzi e confusa l’immago,

che in estri sublimi di fervido canto,

fuggevole incanto – rapiva il pensier.

Oh! Allor che io ti veggio, pensosa Nerina

su candida palma la fronte reclina,

più giovin mi sento fluire la vita,

di speme infinita mi palpita il cor.

 

Al suon di tua voce, gentile creatura,

tintinna l’orecchio, lo sguardo s’oscura,

e l’alma confusa d’insano deliro,

io fremo e sospiro, Nerina, per te.

(Giovanni Martello, Francesco Fiorentino. La prima formazione e gli scritti giovanili-Interpretazioni storiografiche, Lamezia Terme 2014, pp.61-62)

Quest’idillio è rimato e ritmato dalle corde dell’amore, in una visione che non osa mai staccarsi dal visus. Uno sguardo sensuale di senso. Gli occhi presentano al cuore la bruna pupilla, per cui freme e sospira dall’inizio fino all’ultimo verso.

Il Pensiero principe è Nerina, nome Musaico del suo abisso liricizzato, sul solco di una tradizione che gli fa da orientamento e riferimento: Forse la speme, o povero mio cor, ti volse un riso? (G. Leopardi, Risorgimento, vv. 105-106), almeno come raccordo con il sorriso d’amore del v.4; o ancora, Delira dubbiosa, incerta vaneggia ogni alma, che ondeggia fra’ moti del cor (aria XXXV de Il Sogno di P. Metastasio), che è quasi intertestuale all’ insano deliro  del v.15.

Un background che si estende anche  a reminiscenze catulliane nella fisiologia descrittiva del suo eros. Già, tintinna l’orecchio, lo sguardo s’oscura: confuso e felice della sua amata, come la Lesbia per il Veronese.

Insomma, il filosofo e la sophìa vera vivaque (in carne ed ossa, cioè!): Nerina, la Musa del suo ragionar, anni 1852-1856, presumibilmente, negli annali di qualche paparazzo d’allora.

Prof. Francesco Polopoli

 

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