Preludio per ANGSA
4 min di lettura“Pierre, ti ho rivisto questa sera e tu/ tu abbassi gli occhi, ti nascondi, e poi/ te ne vai”: è il refrain di Pierre, uno dei brani più celebri dei Pooh che usava un paragone delicatissimo (la maschera di Pierrot) per parlare di un argomento allora particolarmente difficile come l’omosessualità.
E probabilmente solo le pietre non conoscono i Pooh, storico gruppo di musica leggera italiana che proprio nel 2016, spegnendo 50 gloriose candeline, ha scelto di terminare il suo viaggio mentre era ancora con il vento in poppa.
Forte di 50 lunghi anni di interrotti successi, i quattro musicisti hanno attraversato diverse ere geologiche musicali (perché quando si parla di musica e dei suoi archi temporali, un mese solo corrisponde ad una quantità di tempo inenarrabile, considerando tutto quello che ormai freneticamente succede sulle scene), confrontandosi con il pop-rock, con il rock sinfonico, con il progressive, vincendo tutte le sfide e adagiandosi poi nella gabbia dorata di un itinerario fatto alla fine di tutte discese, quello della musica leggera confinante con il rock melodico.
Ma indipendentemente dai risultati, album come Parsifal, Un Po’ Del Nostro Tempo Migliore, Rotolando Respirando, Viva, sono pezzi di storia che non solo contengono ritornelli celebri (anzi, proprio in quelli nominati le track rimaste nella memoria collettiva si contano sulle dita della mano di un monco) ma anzi hanno alzato l’asticella con cui chiunque, in futuro, ha dovuto confrontarsi.
Perché i Pooh erano -anzi, sono- un impasto inconfondibile di voci e suoni, melodie azzeccate ma insospettabilmente impervie nella costruzione, armonizzazioni impossibili, professionismo da giganti: lo studio che Camillo Facchinetti in arte Roby, Donato Battaglia alias Dodi, Stefano D’Orazio e Bruno Canzian ovvero Red, hanno fatto sulla (loro) musica è impeccabile.
Nozionismo facile, si dirà: tanto più che se con un passante si parla dei Pooh, o ancor meglio (o peggio) se ne parla con un teen al di sotto dei 20 anni, l’accostamento che immediatamente sarà fatto è con la più banale musica italiana. Ma niente di più sbagliato.
Rendono evidente questo concetto i Preludio, la tribute band ufficiale della Calabria dei Pooh appunto, che nella sera del 2 aprile sotto una pioggia scrosciante hanno illuminato il teatro Grandinetti con due ore abbondanti di musica e parole, in una serata di beneficenza voluta e organizzata dalla ANGSA, l’Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici, volta a raccogliere fondi in occasione della giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo.
I Preludio sono, sostanzialmente, una cover band: che hanno avuto però il piccolo grande merito di essere scelti proprio da Canzian tra tantissimi per incidere un brano (La Leggenda Di Mautoa, contenuto in Boomerang, 1977) all’interno di un cd prodotto proprio dai Pooh sulle sue tribute band.
E Mautoa è un brano che si incanala nel solco di quel rock sinfonico che sfiora il progressive che con i Pooh ha toccato vertici altissimi, in suite maestose come appunto Parsifal fino a L’Anno, Il Posto L’Ora e Lindebergh (Il Ragazzo Del Cielo).
Una tribute band “di lusso”, quindi: e tutto quanto detto sulla musica dei Pooh lo ritroviamo nella loro serata musicale. Atmosfere ariose insieme a melodie orecchiabili graziate da versi perfetti (non è un segreto per nessuno che il compianto Valerio Negrini, il “quinto Pooh”, fosse un paroliere eccelso), canzoni che toccano i campi più vari dall’’omosessualità di Pierre all’adulterio di L’Altra Donna, da antiche leggende ispirate alla leggenda con la stessa Mautoa (gli aborigeni) e L’Aquila E Il Falco (il medioevo), ma soprattutto la ricerca di quell’impasto unico di voci che è -stata- la carta vincente e la caratteristica principale dei Pooh.
E al riguardo, loro ce la mettono tutta: da Salvatore Salerno che, complice una timbrica particolarmente simile, ricalca la voce di Facchinetti accompagnandosi con le tastiere, a Massimo Naccarato -pianoforte e voce- a cui spetta il compito di prendere sulle spalle l’eredità di Dodi; da Francesco Cosco -tastiere e voce- a Davide Agostino -basso e cori-, fino a Josè Curcio e GianMaria Agostino -chitarra, cori e arrangiamenti.
Due ore abbondanti di musica e luci dimostrano come i Preludio siano musicisti impeccabili, riuscendo nel non facile intento di far rivivere, almeno per una serata, la magia della musica di un gruppo che ha accompagnato almeno tre generazioni.
Peccato solo che venga voglia, così, di ascoltare dal vivo gli originali; meno male, però, che rimangono almeno i Preludio.
Gianlorenzo Franzì