Prossimamente i “tre giorni della merla”…
3 min di letturaÈ una leggenda che ritrova un’eco persino nella Divina Commedia, «ulla Peppa»!
Più precisamente Dante Alighieri ce la fa imboccare, da buon padre della nostra letteratura italiana, proprio nel Purgatorio – cornice degli Invidiosi: tanto ch’io volsi in sù l’ardita faccia, gridando a Dio “Ormai più non ti temo!”, come fé il merlo per poca bonaccia (Canto XIII, 119-123).
A cosa si riferisce, è legittimo subito chiedersi. Riguarda gli ultimi tre giorni di gennaio e le storie, in merito, s’infittiscono a tal punto da diventare un racconto a più voci, diversificato a seconda del luogo in cui esse sono tramandate.
Provo a porgerla a modo mio, con la permissione di un lavoro inconcluso, dal momento che tempo e fonti, al netto di questa scrittura scrivente, non sono stati così tanto generosi.
Se mi sbaglio, mi corrigerete, allora, come chiosava, a diritto, il nostro Papa Santo, scusandomi per l’averlo messo in mezzo proprio per i merletti, che non sono i nostri pizzi, ahahah!
Alcuni riferiscono, entrando in medias res, che ci fu, un anno, un gennaio piuttosto nevoso: a coprire il nostro paese fu un candido tappeto di neve, paesaggio stupendo, direte!?
Beh, punti di vista. Era difficile riconoscere la fisionomia di quell’ imprecisata città: provo a pensare alla nevicata del 1999 per farmene un’idea almeno sul piano delle suggestioni, giusto per avere un esempio lametino a confronto! Pasquino, il merlo, Nerea, la merla, e i loro tre figlioletti: Verina, Podino e Sirino erano sistemati al sicuro, nel loro piccolo nido, su un alto albero di una verde piazzuola non lontanissima dal cuore cittadino.
Da lì sarebbero usciti solo quando il sole fosse stato un poco più caldo e i primi ciuffi d’erba avessero fatto capolino tra i cumuli appallottolati di quella maliosa coltre bianca. Così aspettarono fino al 28 di gennaio, poi uscirono. Gli augelli, usando volutamente un’espressione dantesca, cominciarono a festeggiare, sbeffeggiando quel mese rigidissimo, per averla spuntata con cuore impavido, da Braveheart.
Tutta questa allegria, comunque, fece infuriare l’inverno, che decise di dare una lezione a quegli uccelli troppo canterini: sulla terra calò un vento gelido, che ghiacciò la terra e i germogli insieme ad essa. La merla Nerea, per proteggere i merlottini intirizziti dal freddo, decise di spostare subito il nido su un tetto vicino, dove fumava il comignolo di un camino, da cui proveniva un po’ di tepore. Solo a febbraio la tormenta si placò, perché loro potessero riprendere il volo. La fuliggine dei camini, però, aveva annerito per sempre le loro piume bianche, facendoli diventare neri, come Calimero: loro che erano sì chiari e lattei, ohibò!
Fu per questa ragione che gli ultimi tre giorni di gennaio, che di solito sono i più freddi, furono detti i “tre giorni della merla”, per ricordare le peripezie di questa nostra simpatica famigliola, che non poche larvate minacce ambientali ebbe modo di sostenere, purtroppo! Né mancano i proverbi a continuarne in qualche modo la memoria: uno, bolognese, almeno credo, dice così: “quando canta il merlo, siamo fuori dall’inverno”, laddove un consiglio marchigiano invece fa:“se li gljorni de la merla voli passà, pane, pulenta, porcu e focu a volontà!”(trad.: “se i giorni della Merla vuoi ben passare, pane, polenta, maiale e fuoco del camino per scaldarti”).
Chissà quale modo di dire è in uso dalle nostre parti: forse è il caso di lasciare al lettore la continuazione, che non può non arricchire questa modesta fatica narrativa. Credo sia molto meglio…
Prof. Francesco Polopoli