Quando schiaccia un pulsante magico lui diventa un ipergalattico
4 min di letturaOra: non è che io voglia (non) sentirmi vecchio, né sminuire il peso dei miei (bellissimi) quarant’anni.
Ma c’è un motivo se dico a mio figlio “eh, i cartoni animati che vedevo io sono più belli dei tuoi…” (solo perché mi ama tanto non mi spernacchia), e se quando parlo con i miei coetanei mi ritrovo spesso a dire “eh, le cose che vedevamo noi in tv erano più belle di quelle di adesso”. Si, c’è un motivo: ed è che è la verità.
UN PO’ DI STORIA
Erano le 19 circa del 4 aprile 1978. Nonostante la mia precoce intelligenza, non avevo ancora né coscienza di me né del mondo esterno, e Ufo Robot io lo iniziai a vedere qualche anno dopo: ma proprio in quel giorno su quella che una volta si chiamava Rete Due andava in onda per la prima volta una serie animata giapponese dal titolo Atlas Ufo Robot. L’anime televisivo prendeva spunto dall’omonimo manga di Go Nagai del 1975: e in origine era solo Ufo Robot Goldrake, ma mi si permetta un inciso a raccontare un aneddoto.
Perché quell’Atlas, se nel manga non ve n’è traccia, nell’anime neanche, mai una volta è sussurrato da Actarus o Venusia? Leggenda vuole che i depliant illustrativi dell’anime di Nagai arrivarono in Rai dalla Francia, che pubblicizzava l’edizione francese dell’opera. Ora, in francese Guida, o Pressbook, si dice Atlas: e ovviamente i depliant nell’intestazione in lingua portavano, assieme al titolo Ufo Robot, anche l’esotico Atlas. Si, erano altri tempi: non c’era wikipedia, non c’era la rete a darti una mano per controllare la veridicità o l’esattezza di un nome… eppure la competenza e la professionalità degli operatori Rai era sempre uguale a quella di oggi. E voilà.
Certo, pochi avrebbero immaginato che il coloratissimo robot chiamato a difendere la Terra da un’invasione aliena avrebbe sconvolto, segnato e sconquassato il panorama mediatico italiano, aprendo di fatto le porte allo sbarco massiccio dei cartoni giapponesi e di tutto ciò che ne è conseguito. Ma ancora oggi, a quarant’anni suonati dall’uscita sulle tv italiane (e qualcosa in più su quelle orientali) Goldrake Ufo Robot -lasciatemi il vezzo di levare quell’inutile Pressbook- continua ad essere centrale nell’immaginario pop e nelle riflessioni teoretiche sull’audiovisivo. Ci sono pubblicazioni che ne parlano (gli ultimi due usciti: C’era Una Volta Goldrake, La Vera Storia Del Robot Giapponese Che Ha Rivoluzionato La Tv Italiana, ed. La Torre, e Shooting Star, Fondazione Mario Luzi): ma il posto occupato da questo prodotto leggendario non è primario solo perché fu il primo cartone di genere fantascientifico ad arrivare in Italia, ma anche e soprattutto per l’ampio vespaio di polemiche che ne derivò. Si sa, i giapponesi sono al tempo stesso più libertini e più puritani di noi italiani: e nei manga danno il meglio di sé. Nel 1978 il deputato Silverio Corvisieri propose un’interpellanza parlamentare per sospendere la trasmissione dell’anima, a ruota seguirono un gruppo di genitori con la loro “crociata di Imola” (per la serie: la madre degli imbecilli…). Certo, ci fu chi affrontò l’invasione nipponica con meno foga e più cervello come Gianni Rodari che, intelligentemente, paragonò il robot ad Ercole intravedendo, con parecchia lungimiranza, i caratteri di un nuovo Epos che si andava formando (in un libello del 1980, Dalla Parte Di Goldrake).
Goldrake cambiò radicalmente il mondo dell’infanzia, così come del merchandising: l’introduzione dei vari giochi ispirati all’Ufo Robot, con i loro colori sgargianti dal sapore fantascientifico ed esotico, favorito ovviamente da Star Wars dell’anno precedente -non dimentichiamo che il capolavoro di Lucas mutò per sempre la fruizione del prodotto multimediale con un’onda lunga che arriva ad oggi.
GOLDRAKE: MODERNO MESSIA
Goldrake è insomma una sorta di capostipite: ha prodotto un imprinting valoriale ed estetico fin dalla sua prima apparizione tv, per la sua struttura narrativa complessa per un pubblico di ragazzini e bambini totalmente inesperti di un determinato mondo di valori, si presta perfettamente ad una lettura alta, come quella fatta proprio nella seconda parte del citato Shooting Star: così come il prototipo del supereroe moderno, il Superman creato da Siegel e Shuster, non a caso di origini ebraiche, Goldrake ribadisce e semplifica ad un pubblico mainstream il tema dello straniero in terra straniera, dai contorni messianici, che cerca di aiutare il popolo che lo ospita, con tutte le possibili riflessioni filosofico-politiche che ne derivano, con risvolti tanto sorprendenti quanto affascinanti.
Insomma, Goldrake affascinerebbe anche mio figlio: che, in mezzo a Winx e cartoni rimasterizzati in 3D, lui come tutti i suoi coetanei potrebbero restare impigliati nella rete dell’Ufo Robot. Che oggi, a distanza di 40 anni, decostruisce le memorie annebbiate dalla nostalgia e rappresenta una lettura oggi ancora più affascinante di allora, anche per chi non l’ha vissuta, ma i cui riverberi pop di certo arrivano a noi.
GianLorenzo Franzì