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Quando il tragico si fa comico

2 min di lettura

Il dramma che ha dato vita ad ogni rappresentazione è proprio quello greco e nasce persino con le migliori cose venute al mondo: gemella all’istruzione e al ministero civico, pensate un po’!

Fa pena pensare, oggi, alle tante chiusure teatrali, proprio alla luce della storia che, nelle sfide del futuro, si è sempre posta da sano radicamento.

La “messa in scena” era né più né meno che una buona forma di educazione: da lì passava una dignità eroica capace di cementarsi come devozione per i valori eterni da essa espressa. Ed oggi che facciamo!? Asfaltiamo il teatro: bella politica, mi verrebbe da aggiungere!

Glissiamo su quest’argomento, differendolo a spazi e tempi diversi, che è meglio! Spostandomi su un livello più aneddotico, invece, pochi sanno che per qualche tragico anche la vita è stata una tragedia greca. Perché? Seguitemi…

Eschilo, secondo Valerio Massimo, sarebbe morto per colpa di un gipeto, un avvoltoio barbuto, per intenderci, che avrebbe lasciato cadere, per spezzarla, una tartaruga sulla sua testa, scambiandola, data la calvizie, per una pietra.

Sofocle, dice la storiografia antica, sarebbe morto strozzato da un acino d’uva nel corso di un simposio.

Euripide, in ultimo, quando da vecchio si ritirò a Pella, in Macedonia, alla corte di Archelao, si dice essere stato sbranato dai cani molossi del re, mentre rincasava ad ora tarda.

Ora ho capito. Dalle nostre parti si porta rispetto a questo trio per i millenari della loro memoria non celebrata: ecco, sarà questo, ci sono arrivato! Quindi, chiuso tutto: abbassiamo le saracinesche!

Nel frattempo va in onda una puntata di “Mille modi per morire”: l’approccio tongue-in-cheek sembra avvicinarsi alle sorti dei nostri cari tragici, purtroppo! Muta lo spazio, però: quello domestico davanti ad un’asettica TV.

Atmosfera muta e non catartica perché si spegne in solitudine: e questa con la comunità stride da sempre, perché feconda molto poco in città.

Prof. Francesco Polopoli

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