Il quartiere di Bella e il Santuario della Madonna della Spina
4 min di letturaL’eterogeneità del territorio lametino ha visto, nel corso dei secoli, la nascita di piccoli borghi in zone strategiche e dall’alto valore mistico.
Sorto nel 1783 a causa dell’inondazione del torrente Piazza che mandò in rovina molti rioni di Nicastro, tra cui Terravecchia e Cavallerizza, Bella fu il rifugio di circa duemila persone, che private di ogni bene, si trasferirono nella parte più alta di Nicastro, pagando una somma al Capitolato della Cattedrale per occupare un fondo della mensa vescovile.
L’origine del nome del quartiere, con molta probabilità, è da ricondurre all’appellativo di Bella Signora attribuito alla Madonna della Spina, un affresco di epoca medievale oggi custodito nell’omonima chiesa, in quello che è stato elevato a Santuario mariano nel 1994.
La piccola chiesetta era ivi presente già in tempi antecedenti all’inondazione e fu forse l’attrattiva maggiore che spinse le genti a trasferirsi in un luogo non solo più alto e lontano dai fiumicciattoli dall’impervio regime torrentizio, ma soprattutto vicino alla protezione delle Madre di Dio.
La tradizione popolare vuole che in questo luogo un contadino nicastrese intento a cercar legna nel bosco ebbe la visione di una Bella Signora, che lo convinse a falciare un rovo di spine, ad oggi ancora inglobato nelle mura dell’edificio. Solo ad azione compiuta apparve il dipinto murario della Madonna col Bambino celato all’interno di un ormai abbandonato rudere. Così la Bella Signora, per ringraziarlo, ricompensò il contadino con una moneta d’oro che garantì il sostentamento della sua famiglia per diverse settimane. Per tali ragioni, non molto tempo dopo, si decise di realizzare un piccolo edificio su richiesta della Madonna in onore della Bella Signora, col titolo di Madonna della Spina o anche di Madonna di Bella.
L’edificio, nonostante i continui rimaneggiamenti che si sono susseguiti nel corso dei secoli, mantiene ancora l’impronta medievale originaria: è composto da un’unica navata alla quale si accede dall’ingresso principale che si anima nel prospetto frontale, si tratta di un portale ad arco a tutto sesto dal gusto molto semplice. Lo stesso è sormontato da una piccola finestra rettangolare, le cui vetrate mostrano una decorazione a croce latina in lastre a doppia colorazione. L’edificio è affiancato a sinistra da un campanile a due ordini che supera in altezza il timpano su cui poggia una croce stellata in metallo. A destra vi è un cancelletto che conduce ad uno stretto corridoio in cui è presente il roveto che si inerpica sul retro della parete che ospita il dipinto medievale e dal quale sono prelevate le spine ritenute miracolose che in occasione dei festeggiamenti mariani sono date in dono ai pellegrini con l’effige della Madonna in trono col Bambino.
L’interno è stato oggetto di un recente restauro che ha focalizzato l’attenzione sulla pittura parietale medievale posto sulla parete destra rispetto all’ingresso, spostando fisicamente la scena dall’altare maggiore al piccolo altarino ivi allocato. A causa di un discutibile tentativo di abbellimento delle figure della Madonna e del Bambinello, sono stati eseguiti dei fori per il posizionamento di una coppia di coroncine in oro, oggetto in seguito di un blasfemo furto.
L’autore dell’opera pittorica è ignoto, probabilmente si tratta di un pittore meridionale del Trecento che ha inconsapevolmente regalato alla cittadinanza il più antico capolavoro pittorico dell’intero territorio; forse solo gli affreschi rinvenuti tra i ruderi dell’Abbazia benedettina di Sant’Eufemia Vetere possono essere ritenuti anteriori.
Il tema dell’opera è quello della Madonna in trono con il Bambino, ritratta frontalmente, con la mano destra sul cuore e sorreggendo col braccio sinistro il Figlio. Le figure sono abbigliate con tuniche riconducibili al periodo di realizzazione, analogamente anche l’acconciatura della Vergine ha echi medievali, la cui chioma sembra essere contenuta all’interno di una retina per capelli come voleva la moda delle nobili signore del tempo.
Il tratto iconografico rimanda alla sfera bizantina, ma è molto più verosimile che si tratti di un’opera della tradizione occidentale. La pittura è conservata nella sua interezza, anzi include un ampliamento dei bordi voluto in epoca barocca, in cui sono presenti delle colonnine tortili e un drappeggio cremisi.
Dell’affresco ne parla Serafino Montorio, un monaco napoletano dell’Ordine dei domenicani, all’interno di un manoscritto settecentesco custodito tra le sale della Casa del Libro Antico, lo Zodiaco di Maria, in cui è ritratta la disposizione dei santuari mariani delle dodici province del Regno di Napoli.
Proprio per la pietà del popolo e il forte attaccamento mistico all’effige la chiesetta ha ottenuto il riconoscimento da Mons. Vincenzo Rimedio di Santuario mariano ed è luogo di pellegrinaggi e forte devozione soprattutto tra le persone anziane che ancora vivono la fede per la Madonna della Spina non solo nel mese di maggio, ma in ogni occasione in cui l’edificio è aperto al culto.
Felicia Villella