Quarto Grado: un caso bimillenario
5 min di letturaUn antico da riscattare in nome del presente: la storia di Publio Ovidio Nasone da allora, ancora!
“Nella mia trasmissione c’è una carica di investigazione e novità che ha pochi uguali al confronto, la mia è una sfida affascinante, provare per credere!”: parole oracolari, quelle di Gianluigi Nuzzi, da più anni confermato nella conduzione di Quarto Grado, programma di punta di Rete 4, nel Grand Hotel di Mediaset, in mezzo alla frotta di chi va o resta, o di chi è o ci fa (non c’entra niente, ma rende lo stesso!).
“C’è sempre una bussola che seguo nel mio lavoro: i punti cardinali sono inchiesta, scienza, dubbio ed emozione” – prosegue il conduttore – nel chiarire, poi, che nell’edizione di quest’anno ci sarà molto spazio dedicato all’approfondimento e al dibattito. Oggi, il tele-crime lascia il posto all’inchiesta storica, ricostruendone fedelmente tutti gli elementi di cronaca: dal reato all’assoluzione il segno di contraddizione, oggi, si sviluppa proprio in nome della legge. Un antico da riscattare in nome del presente: la storia di Publio Ovidio Nasone da allora, ancora!
Carneade, chi era costui?: si passa all’identikit dell’imputato, e successivamente alla fase processuale volta alla ricognizione e alla valutazione di tutti quei dati rilevanti per la sentenza finale.
Intanto, ci troviamo di fronte ad un intellettuale di eccezione, la cui eredità, senza precedente, non avrebbe fatto approdare alla Comedìa dantesca: generi letterari e geni della creatività in lui sono stati duratura convivenza; eppure, la sua è tuttora una pagina giudiziaria irrisolta!
Ora, Vostro onore, chiariamoci su un punto preliminare: cos’è un genio, prima di scrutare la storia di quest’uomo? E la pausa si fa più lunga del solito, alla pari di una extrasistole, con la mano sulla coscienza, perché a cuore è un problema civico di tutti. Il Genio è qualcosa di straordinariamente immateriale: privo di qualsivoglia legaccio che lo ancori a una realtà definibile, è una scheggia di divinità piantata in profondità nel nostro spirito. Spesso (peccato, aggiungo!), non ce ne prendiamo cura, costringendoci a vivere a noi stessi con tratti chiaroscurali. Beh, senza correre il rischio di inutili mistificazioni, perché è forse prematuro osannare prima di conoscere il profilo del poeta, diamo una sbirciatina agli atti, per far luce e chiarezza sul caso legale (e non è leale!) più lungo della storia. Un colpevole bimillenario senza giubilei di Misericordia: cosa avrà fatto mai!!??
E proprio qui, ad uopo, si apre un documentario biografico: un po’ per conoscerlo e molto di più per amarlo. «Perdiderint cum me duo crimina, carmen et error: alterius facti culpa silenda mihi»: nei Tristia, Ovidio stesso descrive così, con questa stringata e criptica frase, il dramma che gli occorse nell’8 d.C. Incriminato per un non meglio specificato error, viene condannato da Augusto alla relegatio. La sua destinazione fu, da lì a poco, la fredda e inospitale località di Tomi, sulle rive del Mar Nero, lontana da tutto ciò che era comunemente denominato civiltà. Proprio la lontananza dalla patria – ma soprattutto dagli agi e dalle dolcezze di Roma – fu la più grave punizione da dover smaltire, sicuramente! Quali furono il carme e l’errore che l’elegiaco commise per meritare questo destino, non sembra dato saperli, purtroppo: lo stesso poeta ne tacque, lasciando libero sfogo alle speculazioni, succedutesi nel corso degli anni. La tesi più accreditata lo vorrebbe coinvolto in una scabrosa relazione con Giulia Maggiore, figlia di Augusto, anche lei esiliata da Roma nello stesso periodo, a causa di atteggiamenti troppo libertini, mentre nell’identificazione del carmen molti propendono per l’Ars Amatoria, che doveva aver suscitato scandalo.
Comunque, infreddolito e malato nell’umido e inospitale clima scitico, Ovidio implorò di poter tornare a vedere gli amati panorami romani, ma i suoi appelli rimasero tristemente inascoltati usque ad finem. Persino la morte di Augusto, nel 14 d.C., non cambiò la situazione: Tiberio (che alcuni pensano potesse avere personali motivi di risentimento nei suoi confronti) non mosse un dito nei suoi confronti, lasciandolo vivere gli ultimi anni lontano dall’amatissima Roma fino alla morte. Può l’espressione di una vita essere lettera scarlatta per sempre? Eppure, Publio Ovidio Nasone è e resterà assiso in quella schiera di uomini che hanno cambiato le menti, segnato il modo di pensare, avvicinato, per un solo, ineffabile ed inestimabile momento, l’immortalità del divino, nella coniugazione di due realtà: la carne dall’al di qua e l’etereo di là. Un bello scioglilingua sconfinato, però, sui binari morti di un addolorato confino. E non è giusto, non lo è assolutissimamente!
Presto detto, non si fa attendere il verdetto: meno male, o forse è meglio dire “ Era ora!”. L’Assemblea Capitolina approva, infatti, all’unanimità la mozione, sostenuta da alcune frange politiche, per “riparare al grave torto subito” dall’autore delle Metamorfosi, esiliato a Tomi, in Romania. C’è da dire che l’ultima sentenza di assoluzione era stata recepita dal consiglio comunale di Sulmona, che nel 2012 l’aveva trasmessa, affinché se ne fosse data attuazione (il primo processo, nel dicembre del 1967, si svolse davanti ad una corte di insigni latinisti, mentre l’appello, del 2011, venne celebrato di fronte a qualificati giuristi).
Così, dopo una lunga trafila, Publio Ovidio Nasone nato a Sulmona nel 43 a.C. ed esiliato a Tomi nell’8 d.C., ha ottenuto grazia e giustizia, seppur tardive. La decisione è arrivata in quanto la relegatio “in base al diritto romano, andava comminata a seguito di un pubblico processo e doveva essere ratificata dal Senato, mentre l’imperatore Augusto stabilì tutto da solo senza rispettare le regole”.
La decisione del C.C. di Roma di riabilitare il poeta latino può sembrare, forse, un inutile vezzo intellettualistico ma, a mio avviso, è un’importante cesura di fronte ai tempi attesi, benché lunghi, di una legislazione compiutamente conclusa. A portata d’uomo per un uomo di portata: Bravi, Romani, ce l’abbiamo fatta!!
Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.
Prof. Francesco Polopoli