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Quella musica che buca il cielo

4 min di lettura
Guido Rimonda - Le violon noir

Guido Rimonda - Le violon noir

Lamezia Terme, 5 febbraio 2017, Teatro Umberto. In scena, per la Stagione Concertistica organizzata da AMA Calabria, la Camerata Ducale con Guido Rimonda, violino solista e direttore, nel concerto Le Violon Noir. La musica del mistero.

L’orchestra d’archi, 10 elementi, è disposta ordinatamente sul palcoscenico. Elegantissime le musiciste in lungo. Le note dei violini, delle viole e del contrabbasso si levano dolci. Poi l’orchestra tace. Nel silenzio, dal fondo della platea una musica che buca il cielo. È Guido Rimonda con il suo Stradivari Jean Marie Leclair, dal nome dell’ultimo proprietario famoso divenuto poi misantropo che finì per rinchiudersi in una torre dove fu poi trovato morto con una pugnalata alla schiena mentre stringeva al petto il suo amatissimo Stradivari 1721 lasciandovi l’impronta indelebile della sua mano. Da qui il nome di Violon Noir, violino nero.

Inizia con questa leggenda l’affascinante viaggio nella musica esoterica della Camerata Ducale diretta da Rimonda.

Il concerto si apre con Il trillo del diavolo Sonata in sol minore di Giuseppe Tartini nella versione per violino e orchestra di Riccardo Zandonai con la cadenza dello stesso Rimonda. Il sogno di Tartini: quello di diventare maestro d’armi. Una vita divisa tra spada e archetto. Un grande amore, Eleonora, che sposa di nascosto. Il suo ritiro in un convento dove una notte sogna il diavolo che suona il suo violino con una melodia così singolare e bella che al risveglio vuole riscriverla senza, tuttavia, riuscire ad eguagliarla. Le note cullanti dell’adagio riproducono il sonno di Tartini che però viene disturbato da accordi consonanti a presagire che qualcosa sta per succedere. I procedimenti armonici e lo stesso trillo introducono l’allegro con diversi passaggi virtuosistici fino all’ultimo movimento che presagisce un’atmosfera grave, lenta, intrisa di mestizia per poi stemperarsi nel trillo finale che suona quasi come uno sberleffo simpatico con un leggero effluvio di zolfo.

Si prosegue con la Pavane pour une infante défunte di Ravel scritta per una principessa morta. Un’antica danza rinascimentale con una struttura e un’armonia molto semplici. Note di struggente dolcezza con una punta di malinconia.

È poi la volta di Niccolò Paganini con Le streghe, op. 8. Il tema è tratto dal balletto “Il noce di Benevento”, musiche di Franz Süssmayr, all’epoca molto conosciuto in Germania e in Italia. Paganini, che già nel corso del 1812 utilizza per i suoi concerti una melodia di questo strano balletto, che tratta di streghe riunite presso un albero, decide di eseguirla, con variazioni, al suo debutto alla Scala il 29 ottobre 1813. Paganini il demoniaco, Rimonda il divino. Il dialogo tra l’orchestra e il solista sembra una lotta tra mistero e bellezza. L’adagio introduce la strega anziana che apre il Sabba, poi arriva la vera e propria danza delle streghe con le variazioni che sembrano imitare ghigni, risatine e squittii di pipistrelli. Nella chiusura i tratteggi a zig-zag, le accelerazioni e i guizzi accompagnano il volo delle streghe che scompaiono inghiottite dalla luna. Il centro è densità, tintinnii, riverberazioni, pizzi, glissandi, fraseggi con l’arco laddove l’anello degli strumenti che gli gira intorno è di supporto alternando silenzi a lunghe fasce sonore.

Il quarto brano ci riserva una magistrale versione di Schindler’s list di John Williams elaborata da Rimonda perché anche l’uomo sa e può fare molto male.

Si prosegue con La Légende in sol minore op. 17 del polacco Henry Wieniawski dedicata a Isabella Hampton, nipote del compositore irlandese George Osborne, di cui si era perdutamente innamorato. Dopo il breve incipit dell’orchestra, l’attacco del violino si adagia su una linea melodica soffice, lenta che suggerisce l’emozione dell’amore che nasce, il primo corteggiamento, i rossori, i primi battiti di cuore. Ma la magia è rotta da quell’arpeggio quasi spasmodico dell’amore osteggiato, il suono si trasforma in pianto, i toni più grevi e melanconici introducono il tema della nostalgia, della lontananza, dell’amore perduto fino a riprendere la melodia d’apertura e a ritrovare il desiderio di pace e la dolcezza di un abbraccio mentre il violino, in assolo, riprende a sussurrare parole d’amore fino a quel pizzico che si spegne nel buio come un bacio schioccato sulla bocca.

Gran finale con Maria Luisa Granduchessa di Parma, Tema e variazioni di Niccolò Paganini, brano molto simile a Le streghe che appartiene al cosiddetto gruppo delle Sonate sulla “quarta corda” e caratterizzato da un elegante lirismo che ben rappresenta le côté romantique del bizzarro animo paganiniano.

Finale straordinario con brevissimo ma intenso virtuosismo firmato ancora una volta Paganini “nella divina arte dei suoni insuperato maestro”.

Giovanna Villella

 

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