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QUELLO CHE LE DONNE NON DICONO: LA MERDA – intervista a Silvia Gallerano

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È iniziata la rassegna Oscenica, al ristrutturato Teatro Comunale di Catanzaro. Una rassegna, come abbiamo detto in precedenza, dedicata al teatro indipendente, che vuole dare una panoramica quanto più esaustiva possibile, alla vitalità del genere che attualmente c’è in Italia. Ed è iniziata con LA MERDA, pluripremiato spettacolo di Cristian Ceresoli con Silvia Gallerano, straordinaria interprete di una messa in scena unica: infatti  Silvia è dall’inizio alla fine integralmente nuda, seduta su uno sgabello, con un microfono in mano e senza nessun artificio o attrezzo. LA MERDA è un monologo, uno sfogo: parole e pensieri in libertà che restituiscono un personaggio, la protagonista, spietato, addirittura efferato a tratti, che si mette a nudo non soltanto fisicamente ma anche e soprattutto psicologicamente: infatti, dopo soli 5 minuti dall’inizio, l’imbarazzo, l’empasse dello spettatore a vedere e ad avere una donna completamente nuda davanti a sé sparisce, completamente assorbito dai fiumi di parole che Silvia vomita addosso al pubblico. Una sorta di flusso di coscienza, la denuncia spietata di una società ancora purtroppo larvatamente maschilista, e la riaffermazione e riappropriazione urlata del proprio corpo e della propria identità di donna.

Abbiamo incontrato l’attrice Silvia Gallerano poco prima di andare in scena, intervistata dal critico GianLorenzo Franzì:

 

D: spero di non farti domande che ti hanno fatto e rifatto, viste le particolarità dello spettacolo… ma prima di tutto, è inevitabile pensare al titolo, “LA MERDA”, e poi alla caratteristica di quello che fai sul palcoscenico (Silvia è dall’inizio alla fine nuda, seduta su uno sgabello, senza attrezzi di scena o altro, nda). perché sono un vero e proprio pungo nello stomaco per lo spettatore, qualcosa che coinvolge immediatamente. Quant’è importante, oggi, a teatro, fare un “teatro politico” ma non nel senso partitico, bensì come riguardante la coscienza politica e civile?

SG: Non è stato un obiettivo a priori quello di fare un teatro “politico”, quello che intendiamo Cristian (il drammaturgo di LA MERDA, nda) e io rispetto alla parola politico è proprio ritornare all’origine della parola, “polis”, città, e quindi rivolgersi agli altri esseri umani che insieme a noi abitano la città. In questo senso, quello che uno vede sul palco è un essere umano, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti, con il quale si rispecchia e si confronta, per vedere ciò che hanno in comune o meno, o quello che fa paura, che terrorizza.. perché questa ragazza è pronta a tutto.. ed espone la sua ferocia tanto quanto la sua umanità, quindi noi riusciamo a vedere gli aspetti che ci riguardano. E in questo senso si, se vuoi LA MERDA diventa uno spettacolo politico: mostra l’umanità dentro tutti noi.

D: Durante lo spettacolo tu hai un microfono in mano, un “gelato”, e non un archetto o altro, ma un microfono che ti impegna le mani. È un artificio tecnico? O c’è qualche altra esigenza?

SG: E’ un’immagine estetica, anche, che guarda a tutta la televisione che ci ha nutrito, che ha nutrito la nostra generazione degli anni ’80: l’uomo e la donna, ma soprattutto l’uomo, col microfono in mano, simbolo anche fallico!, è un simbolo che ci ha accompagnato per tanto tempo. Quindi è anche una suggestione estetica.

D: Hai parlato di televisione: oggi il corpo della donna è mercificato, nel senso che ormai una donna nuda non fa più scalpore né notizia, eppure una donna completamente nuda su un palcoscenico per 60 minuti ti mette in imbarazzo, o quantomeno suscita reazioni…

SG: Sai, la differenza è che quando vedi una donna su un manifesto è una donna di plastica, non è reale. Nel senso non solo che non è tangibile, ma anche che nella realtà non esistono quei fianchi lì, non esiste quel seno lì né quel sedere lì… E’ un tipo di estetica, quella che si propone del femminile, che è falsa, le donne non sono realmente fatte così. Noi tutti siamo schiavi di una dittatura estetica, cercando di raggiungere ideali fisici che non corrispondono alla realtà. Quello che invece succede in teatro è che quando tu vedi un corpo lo vedi realmente davanti a te…

D: senza filtri…

SG: Esatto, non c’è filtro. Ti ci riconosci molto di più, quindi forse in questo senso è molto più “osceno”. È la realtà che ti sbatte in faccia. E c’è più empatia, riconosci i difetti che ogni mattina vedi davanti il tuo specchio.

D: Il percorso di Silvia come attrice?

SG: Mah, ho iniziato da ragazzina a scuola frequentando un corso pomeridiano, fondamentalmente perché mi piaceva l’insegnante! Studiavo anche danza, il mio sogno era fare la ballerina. Ma poi ho capito che c’era qualcosa, a teatro, che riguardava il mio desiderio professionale, era quello che volevo fare. Da lì poi ho fondato una compagnia con alcune compagne di corso, per anni abbiamo lavorato insieme perché c’è sempre stato il desiderio di mettere insieme un’autonomia per portare le proprie storie in scena e parlare del contemporaneo, cosa che in questo momento in Italia non è facilissimo, purtroppo. Cioè, siamo in tanti a fare drammaturgia contemporanea, non siamo pochi, ma facciamo fatica a trovare gli spazi.

D: Ne LA MERDA tu usi la voce come un vero e proprio strumento, modulando toni e tonalità: oltretutto l’hai anche recitato in inglese e in francese. C’è differenza, lo studio e la preparazione vocale sono diversi a seconda della lingua?

SG: Si si, molta. Il lavoro che faccio vocalmente è completamente frutto della mia decisione di dare voce alle voci del testo. Non è quindi un ragionamento estetico quello che io ho fatto in precedenza, ma mi rendo canale delle parole che devo dire. Certo, c’è uno studio fonetico, ma tutto parte dalle parole che devo pronunciare,c’è la musicalità già insita nel contesto. Quindi chiaramente a seconda della lingua cambia, perché cambiano le tonalità, quando parli in inglese la tonalità è più bassa, e lì per esempio ho più facilità a fare alcune voci e alcuni personaggi e altre no…

 

 

Valentina Arichetta

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