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La generazione di Greta schiava del Black Friday. Vittime o carnefici?

3 min di lettura

Come da (recente) tradizione, fine novembre è il periodo più atteso dai consumatori di tutto il mondo in vista del Black Friday e del Cyber Monday. Ma quali sono le conseguenze per le nostre tasche, e non solo?

Dopo settimane di martellanti pubblicità, si sono conclusi i giorni (si parla ormai di “Black week”) dedicati agli sconti, quelli che anticipano i “veri” saldi di gennaio.

Folle inquantificabili si sono riversate anche nei negozi della nostra città, in cerca di prezzi stracciati e occasioni imperdibili.

Ma è davvero così? E’ tutto oro quello che luccica nelle pubblicità dei media? Le opinioni sono tante, discordanti e non mancano le critiche.

L’ennesima trovata del consumismo riesce a spremere tutti, indistintamente, anche in tempo di crisi.

Gli acquisti senza freni avvengono per lo più nei centri commerciali e tra le grandi catene, a scapito dei piccoli negozi che non potrebbero offrire lo stesso quantitativo di merci e sconti. Lo scopo è aumentare i margini di guadagno, svuotare i magazzini di roba invenduta e dare l’impressione di offrire occasioni uniche di acquisto.

Senza contare il lavoro in eccesso dei dipendenti, ai limiti dello sfruttamento, senza il quale questo mercato immenso non si reggerebbe.

Lo sanno bene ad esempio i dipendenti di Amazon, colosso dell’e-commerce per eccellenza, che già da qualche anno hanno iniziato a mostrare al mondo le condizioni di “schiavismo” che si celano dietro alle patinate possibilità di acquistare a prezzi più bassi.

Numerose manifestazioni si sono svolte in questi giorni, in cui gli attivisti chiedevano di ridurre i consumi e tassare Amazon per usarne i capitali per combattere il cambiamento climatico. Non sono mancati neppure gli scioperi dei dipendenti indetti dai sindacati, ma a poco è servito: milioni di prodotti sono stati venduti e difficilmente la politica aziendale considererà un cambio di rotta.

Eppure basterebbe così poco! Sprecare meno, riparare anziché sostituire, riciclare prima di produrre il nuovo.

Ne gioverebbe in primis l’ambiente, in un periodo storico come quello attuale in cui il livello di consumo è totalmente insostenibile, lo stesso periodo storico in cui una ragazzina svedese gira il mondo evangelizzando lo sviluppo sostenibile.

Qual è la contraddizione assurda che sta alla base di tutto questo e lo rende possibile?

Forse il momento in cui l’uomo-lavoratore veste i panni dell’uomo-consumatore, e viceversa.

Desiderare un contratto a tempo indeterminato e comprare vestiti a 9,99 euro, farsi assumere come dipendente e scegliere compagnie aeree che ci fanno volare per 5 euro.

Il capitalismo ha solo trovato il modo di vendere ad un popolo fatto di precari e sottopagati.

Il consumo è il nuovo culto, e tutti ne siamo rispettosi e consapevoli fedeli.

Maria Francesca Gentile

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