Ricordando Gabriele D’Annunzio: l’impresa di Fiume
5 min di lettura80 anni fa moriva Gabriele D’Annunzio, uno degli intellettuali più importanti e discussi del Novecento. Lo ricordiamo con la narrazione della sua impresa politico-militare più famosa, vale a dire l’impresa di Fiume.
Antefatto
Siamo nel 1918. La Grande Guerra è terminata da poco e le nazioni vincitrici sono a discutere del dopoguerra a Versailles, sotto la presidenza del presidente americano Wilson. L’Italia, rappresentata dal Primo ministro Orlando e dal ministro degli Esteri Sonnino, rivendica le promesse territoriali garantite da Francia e Inghilterra con le quali siglò il Patto di Londra (1915).
Il poeta Gabriele D’Annunzio (1863-1938), che aveva partecipato da volontario alla Grande Guerra avendo già 52 anni, contribuì in maniera determinante alla vittoria italiana con imprese ormai leggendarie quali la “beffa di Buccari” e il “volo su Vienna”. Poiché dai colloqui di pace parigini non giungevano buone notizie sulle rivendicazioni italiane, D’Annunzio cominciò a parlare sugli organi di stampa di “Vittoria mutilata”.
Comincia l’impresa di Fiume
Fiume (oggi Rijeka) all’epoca era una cittadina di 30.000 abitanti a maggioranza italiana contesa tra l’Italia e il Regno di Iugoslavia. Nella città adriatica fin dall’ottobre 1918 si era costituito un Consiglio Nazionale che chiedeva l’annessione all’Italia.
D’Annunzio fu informato delle sorti sfavorevoli provenire dai colloqui di pace e decise di far sentire il suo disappunto scrivendo una “Lettera ai Dalmati” che pubblicherà Mussolini sul suo giornale, il “Popolo d’Italia”.
Il poeta abruzzese fece una serie di comizi pro Fiume, mentre nella cittadina contesa il Consiglio Nazionale fondava una legione militare per difendersi dalle truppe francesi filo-iugoslave messe a presidio e mal sopportate dai fiumani.
Mentre in Italia si verificavano scontri sociali dovuti al carovita e ricordati come “Biennio rosso”, ad agosto D’Annunzio finalmente si decise per l’azione. L’11 settembre si presentò a Ronchi, in Friuli (oggi Ronchi dei Legionari), dove l’attendeva la Legione Fiumana con a capo Giovanni Venturi, granatieri, ex soldati e volontari per circa 2500 uomini. Tutti raggiunsero la città di Fiume alle 11.45 del 12 settembre 1919, accolti da una folla festante che proclamò il poeta Capo di Stato (Comandante).
Fiume “Città di vita”
Il presidente del Consiglio Francesco Saverio Nitti apprese con umiliazione dell’impresa di Fiume e per rassicurare gli Stati Uniti condannò pubblicamente l’impresa del poeta abruzzese. Non decise però per la repressione ma di intavolare trattative proclamando l’embargo economico. Nitti, inoltre, mise a presidio della Venezia Giulia un giovane militare, Pietro Badoglio. Il futuro capo del fascismo si limitò a vane promesse e ad aprire una raccolta fondi per Fiume. Gli italiani non appoggiarono pubblicamente l’impresa dannunziana, a differenza dal popolo europeo che mostrò al poeta-comandante ammirazione e solidarietà.
A Fiume tutto divenne lecito, tant’è che fu subito ribattezzata “Città di vita”. Qui imperava il comportamento più antiborghese che si potesse esprimere, portando avanti uno spirito ribellistico e anticonformista molto avanzato per l’epoca. Con in bocca il motto poi usurpato da Mussolini, vale a dire “Me ne frego”, a Fiume circolava la cocaina, si andava in giro nudi, si praticavano orge collettive omosessuali, gli italiani accorrevano in massa per divorziare, la prostituzione femminile e maschile si praticava per le strade della città.
Espressero solidarietà al poeta Guglielmo Marconi, che regalò alla futura città croata una stazione radio, e il compositore Arturo Toscanini che diresse un concerto di beneficenza a favore della popolazione.
Nonostante vari appoggi economici, l’embargo creava seri problemi di cibo a Fiume. D’Annunzio trovò rimedio organizzando un corpo di moderni pirati (gli uscocchi) con a capo il capitano Mario Magri, il quale riuscì più volte a dirottare e sequestrare piroscafi italiani e stranieri carichi di cibo, medicinali e ogni genere di materiale utile per sopravvivere. Intanto il 23 novembre 1919 fu proposto a D’Annunzio un accordo che proclamava Fiume città libera.
Il Consiglio Nazionale di Fiume accettò il compromesso a larga maggioranza ma l’opposizione dei legionari e della popolazione costrinse il poeta ad indire un plebiscito per far esprimere la popolazione. Dinnanzi alla possibilità che il sì fosse maggioritario, la frangia estrema dei legionari, appoggiata da D’Annunzio inscenò atti di violenza e intimidazione che portarono alla sospensione dello spoglio.
La Carta del Carnaro e la fine dell’occupazione
Mentre Fiume perdeva legionari e sostenitori, D’Annunzio volle sfidare l’ordine politico mondiale creando la Lega di Fiume, un organo raccogliesse sotto la sua insegna tutti i popoli oppressi dalla Società delle Nazioni, dall’Impero britannico e dal capitalismo imperialista da loro incarnato.
Intanto Nitti intavolò trattative nel maggio 1920 con la Iugoslavia per trovare una soluzione definitiva, ma inaspettatamente cadde il suo governo e fu richiamato alla presidenza il vecchio Giovanni Giolitti.
D’Annunzio accolse la caduta di Nitti proclamando lo Stato libero di Fiume (24 agosto 1920), avente una sua costituzione, la Carta del Carnaro (8 settembre), molto moderna sia per l’epoca e sia a confronto con le costituzioni attuali in quanto poneva al centro della vita sociale il cittadino. Ogni cittadino, uomo e donna, poteva votare ed essere eletto, e doveva prestare il servizio militare dai vent’anni in poi. Bandito ogni tipo di insegnamento politico o religioso. Garantita assistenza sociale per malattia, invalidità, disoccupazione, vecchiaia. I lavoratori e gli imprenditori erano uniti in un sistema corporativo, dissimile e a quello cattolico e a quello fascista. La proprietà privata era garantita ma non dichiarata utile a livello sociale. Per la prima volta si parlava di tutela del paesaggio.
I giorni della reggenza fiumana però erano agli sgoccioli. Con il Trattato di Rapallo (12 novembre 1920), l’Italia proclamava Fiume città indipendente: l’impresa di Fiume stava arrivando al capolinea. I collaboratori del poeta lo pregarono di accettare questo accordo, ma D’Annunzio, abbandonato da tutti, rifiutò di arrendersi.
Il 1° dicembre la flotta italiana accerchiò il porto di Fiume. Il 20 dicembre, visto il diniego del poeta a piegarsi, iniziarono i bombardamenti della città, che si conclusero il 26 dicembre con un bilancio di 27 morti fra legionari e civili fiumani e 25 militari italiani e oltre 200 feriti. Il 18 gennaio, dopo 16 mesi di occupazione, Gabriele D’Annunzio lasciò per sempre la città di Fiume.
Matteo Scalise