Ricordo di Virginia Woolf. Oggi l’anniversario del suicidio
4 min di letturaLe onde sui suoi capelli: ricordo di Virginia Woolf
Erano da poco passate le nove del mattino di un 28 marzo inglese come ce ne sono stati tanti prima di quel 1941, e come ce ne sono stati anche dopo, ma in quella mattina fatidica le onde del fiume Ouse, nel nord dello Yorkshire, accolsero tra i propri palpiti la scrittrice Virginia Woolf.
Tenersi occupati è essenziale
“Tenersi occupati è essenziale”. Quattro parole stringate incastrate tra la preoccupazione per la cena e i buoni propositi per non affondare. Quattro parole scritte di getto l’8 marzo, venti giorni prima della decisiva fuga dalle prigioni mentali che attanagliavano lo spirito e la volontà di Virginia Woolf.
E questo precetto del tenersi occupati aveva seguito la scrittrice fin dall’adolescenza, da quando aveva perso quel caldo focolare che era il grembo materno e aveva dovuto proteggersi da sola dalle gabbie che la società aveva deciso di imporle in quanto donna. In quanto donna intelligente. In quanto donna capace di avere idee e di imprimerle sul foglio.
Recensioni, saggi critici, romanzi, bozze di romanzi, racconti, diari… scritti copiosi che declinavano l’unico imperativo: tenersi occupati. L’operosità del lavoro di Virginia Woolf, la fecondità della sua mente e il proliferare delle sue opere rappresentavano il tentativo costante e certosino di mettere a tacere le voci interiori che la perseguitavano, dando loro una via lungo la quale esprimersi senza roderle l’anima. Così, giusto per tenersi occupati, Virginia Woolf pubblica in questi anni frenetici i romanzi Mrs Dalloway, To the Lighthouse, Orlando, The Waves, i saggi Three guineas, A room of one’s own e The common reader, per citarne solo alcuni. Ma l’acqua di quel fiume che la scrittrice si porta dentro continua a scorrere impetuosa, senza sosta, tirandola per le caviglie ad ogni risveglio.
Non posso combattere oltre
Ha combattuto a lungo Virginia Woolf. Ha inforcato le armi quando, nel 1904, a pochi mesi dalla dipartita del padre amato quanto temuto, decide di dire addio al mondo abbracciando il desiderio di chiudere per sempre gli occhi alla bellezza che amava contemplare. Ma fallisce.
Costretta a vivere, a combattere ancora, si trascina col suo talento indiscusso fino al 1912. Virginia ha trent’anni e arde di quel fuoco che solo i veri scrittori posseggono. Quello è l’anno del suo matrimonio con Leonard Woolf, compagno di vita, di sfide, di scrittura e di battaglie. Tuttavia la felicità, seppur presente, è labile. Un anno dopo e poi ancora nel 1915 la scrittrice tenta nuovamente di porre fine alla propria esistenza. Si priva del cibo, si priva dell’energia necessaria per continuare a combattere. Risale però la china grazie alle cure e all’attenzione del marito e delle infermiere che la assistono. Le redini della mente hanno ceduto per un lungo periodo, ma sono ora strette tra le mani di Virginia che procede dritta come un fuso.
E scrive. E combatte.
Fino al 1941. Fino alla mattina del 28 marzo. Facile immaginare quel suo risveglio, critici, saggisti e registi nel corso dei decenni ci hanno aiutati a farlo. Virginia Woolf si siede alla scrivania e verga il suo ultimo scritto.
‘Carissimo,
sono certa di stare impazzendo di nuovo. Sento che non possiamo affrontare un altro di quei terribili momenti. E questa volta non guarirò. Inizio a sentire voci, e non riesco a concentrarmi. Perciò sto facendo quella che sembra la cosa migliore da fare. Tu mi hai dato la maggiore felicità possibile. Sei stato in ogni modo tutto ciò che nessuno avrebbe mai potuto essere. Non penso che due persone abbiano potuto essere più felici fino a quando è arrivata questa terribile malattia. Non posso combattere oltre. So che ti sto rovinando la vita, che senza di me potresti andare avanti. E lo farai, lo so. Vedi, non riesco neanche a scrivere come si deve. Non riesco a leggere. Quello che voglio dirti è che devo tutta la felicità della mia vita a te. Sei stato completamente paziente con me, e incredibilmente buono. Voglio dirlo – tutti lo sanno. Se qualcuno avesse potuto salvarmi, saresti stato tu. Tutto se n’è andato da me tranne la certezza della tua bontà. Non posso continuare a rovinarti la vita. Non credo che due persone possano essere state più felici di quanto lo siamo stati noi.
V.’
Daniela Lucia