Il sale dolce che elimina l’amarezza. Sotto la lente
2 min di letturaFilato, a velo, semolato, extra fine, grezzo, a zollette, è sempre lui: lo zucchero
Alessandro Magno lo definiva miele senz’api.
Nel I secolo d.C. il medico Dioscoride, scriveva del saccharum come di un sale dolce che scricchiola tra i denti.
Un bene prezioso per i persiani che trasmisero al mondo arabo l’arte di fabbricare lo zucchero in forma solida.
Da quello di canna delle coltivazioni tropicali, elitario e rarissimo, alle intuizioni dell’agronomo francese Olivier de Serres, e alla maestria dell’industriale francese Delessert che condussero Napoleone a produrre e diffondere il nuovo zucchero, estratto dalla barbabietola.
Un granello di storia che si perde nei secoli, piccolo e “saporito” quanto lo zucchero.
Un successo che nasconde un sacrificio, o una dolcezza che smorza un’amarezza.
Non c’è momento di sconforto che non sia sprofondato nella dolce sabbia, o alta tensione da affrontare che non abbia trovato sostegno ed energia nel saccarosio.
Ma ognuno ha il suo dolcificante di vita.
Ed è allo scoccare del problema che risuona nelle orecchie di ogni adulto-bambino il ritornello “Basta un poco di zucchero e la pillola va giù. Tutto brillerà di più”, in cui Mary Poppins ci canticchiava uno degli insegnamenti fondamentali per continuare a sorridere.
Non voltiamoci dall’altra parte, non ignoriamo il male, impariamo ad ingoiare le “pillole amare” ogni dì, sporcandoci le labbra di sorrisi, festosità e del nostro zucchero preferito.
Sotto la lente di oggi, iniziamo la giornata con la leggerezza dello zucchero, ma affrontandola sempre di petto.
Mara Larussa