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Sant’Antonio, l’usura di chi presta denaro e di chi si approfitta degli altri

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Sant'Antonio avaro

Sant'Antonio avaro

Maledetti usurai, che nella rete dell’usura catturano grandi e piccoli, ricchi e poveri

Sant'Antonio avaro
Sant’Antonio

Viene difficile pensare che parole così forti, siano state pronunciate dal Santo “che tutto il mondo ama”, sempre rappresentato con in mano un giglio simbolo di candore e purezza e nell’altra mano il Bambino Gesù. Eppure il Santo di Padova, nel cuore del Medioevo, in nome del Vangelo e di Gesù Cristo, venuto per riscattare gli ultimi di tutti i tempi e di ogni storia, non le mandava a dire a chi metteva da parte gli ultimi, a chi approfittava del bisogno della povera gente. Due erano le categorie che il Santo di Padova, in particolare, prendeva di mira: gli avari e gli usurai. Gli avari come “torchi che spogliano e schiacciano i poveri”, li chiamava nei suoi sermoni; gli usurai con i loro denti “che odorano di marcio, perché nella loro bocca c’è il luridume del denaro e gli escrementi dell’usura”.

In questi giorni, celebrando la festa del Santo forse più conosciuto e venerato nel mondo, protettore della nostra Lamezia, oltre l’affettività della devozione popolare al Santo con tratti a volte troppo mielosi, vale la pena riflettere sul suo messaggio attualissimo, che ancora oggi sprona a mettersi una mano sulla coscienza di fronte al Prossimo che mi sta davanti, che mi sta accanto. Di fronte al fratello messo ai margini, scartato, bisognoso di tutto: dal mantello con cui coprirsi all’affetto e alla tenerezza per poter passare giorni più sereni. Sant’Antonio figura moderna che ci richiama alle nostre responsabilità verso il fratello, verso la comunità. E che sia attuale il messaggio del Taumaturgo, contro l’usura e le perversioni generate dall’attaccamento al denaro, lo dicono anche i numeri. Basti pensare, secondo un recente rapporto Eurispes, che il mercato della “mala pianta” dell’usura ha registrato negli ultimi anni un giro d’affari di 82 miliardi di euro: circa il 12% per cento delle famiglie (su un totale di 24,6 milioni di famiglie) si è rivolto a soggetti privati (non parenti o amici) per ottenere un prestito, non potendolo ottenere dal sistema bancario.

Ma non c’è solo un dato economico o legalistico dietro l’usura. Non è solo il reato di prestare denaro e richiederlo a tassi di interesse esorbitanti. Dietro la stessa usura contro cui si scagliava Antonio da Padova, c’è la negazione della dignità dell’altro, che ti porta ad utilizzare l’altro che ha bisogno per raggiungere i tuoi scopi per poi metterlo da parte. C’è l’usura attuale e quotidiana di chi gioca con i sentimenti, di chi prende e prende soltanto senza mai donare. L’usura “ipocrita” di chi nasconde i propri interessi dietro la magnanimità e il falso buon cuore.  E già S. Antonio coglieva la differenza tra diverse categorie di usurai: quelli che fanno usura di nascosto come “rettili che strisciano”;  quelli che esercitano l’usura pubblicamente per sembrare misericordiosi; e poi ci sono “gli usurai scellerati, dannati e impudenti, che praticano l’usura davanti a tutti, quasi in piazza”, quelli che hanno perso anche la dignità di vergognarsi.

Una stessa miseria umana accomuna le vittime dell’usura agli usurai dei sentimenti. I primi, volenti o nolenti, ne hanno bisogno. Non possono farne a meno. I secondi sono vittime di se stessi. Il Santo di Padova dia ai primi il coraggio di rialzare la testa. Ai secondi faccia ritrovare il cuore che, come nel celebre miracolo del cuore dell’avaro, probabilmente non sta più nel petto ma è chiuso nella cassaforte del proprio egoismo. Perché il contrario dell’usura, dell’approfittare del debole per i propri interessi, è camminare “accanto”, mettere una mano sulla spalla, sentirsi accumunati da una stessa dignità e da uno stesso impellente bisogno di amore. Che è fondamento di quella giustizia che tutti ricerchiamo. Che il Santo di Padova ci dica dov’è finito quel cuore, che nel petto non c’è più.  Che faremo subito qualcosa per andarcelo  a riprendere.

Salvatore D’Elia

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