L’iscrizione di Sant’Eufemia: traduzione della lastra marmorea di San Giovanni Battista
2 min di letturaSu sollecitazione dei lettori, che ringrazio per l’interesse dimostrato, mi propongo di fare la traduzione testuale di un’epigrafe, che ha una sua storia, senza una precisa decodificazione, però, almeno fino ai giorni nostri.
Credo non sia stata mai fatta un’analisi linguistica al riguardo, ignorandone le ragioni, ascrivibili, peraltro, a tanti altri disattenti “omissis”, su cui lascio calare il sipario da solo: personalmente, ritengo che interrogarsi su una realtà cittadina significhi, senza tema di smentita, passare (soprattutto) attraverso la sua memoria.
D(EO) O(ptimo) M(aximo)
Sanctae Euphemiae caput, et aliorum Sanctor(um)
reliquiasque post expugnatum a Turcis Rhodum
in hoc Archisterium traslatae de mente fratris
Centorii Cagnoli Vercellensis, huiusque Baiulivatus
Prioris, ut decenti veneratione colantur, hic Frater
Ioannes Antonius Berzettus, eiusquae vices
gerens, et concivis, summa pietate locandas
curavit – anno Domini M D C VIII
Traduzione:
a Dio Ottimo e Massimo
(cioè a Dio che è la cosa più grande e buona che ci sia)
La testa di Sant’Eufemia e le reliquie di altri Santi, dopo l’espugnazione di Rodi da parte dei Turchi, trasportate verso quest’abbazia, su richiesta di frate Cagnolo Centorio, Vercellese, nonché Priore di questo Baiulato, qui (ovvero in questo luogo) frate Giovanni Antonio Berzetto, suo vicereggente, e concittadino, curò la loro collocazione con somma pietà cristiana, al fine di farle venerare con degna devozione cristiana nell’anno (di nostro) Signore 1608.
Interpretazione
La lapide fa riferimento alle ossa del cranio di Sant’Eufemia e di altri Santi (non menzionati), trasportate, per l’appunto, da Rodi, dopo l’espugnazione dell’isola da parte dei Turchi, e fatte custodire dal Priore Centorio, vercellese, e dal frate Giovanni Antonio Berzetto, suo vicereggente e concittadino, nel 1608 (trent’anni prima dello sconvolgente terremoto bruzio, di cui mi sono occupato in un precedente contributo per questa testata, attraverso la testimonianza del gesuita Kircher).
Prof. Francesco Polopoli