Sebastiano Lo Monaco ne Il berretto a sonagli
4 min di letturaTogliere il berretto a sonagli della pazzia e… beeee
A Lamezia Summertime 2016 commedia in esclusiva per la Calabria.
Quando la rabbia acceca e la vendetta, sperata e invocata come libertà, diventerà una prigionia, questa in sintesi la traccia della rivisitazione teatrale di Sebastiano Lo Monaco, nel portare in scena il testo di Luigi Pirandello.
Noi non sappiamo quale strada prenderà una azione, e su questo non sapere, su questo mistero dovremmo stare sul ciglio della decisione ed alimentare il dubbio, sembra ci dica nel primo tempo l’attore e regista, che giocando coi toni della farsa, della commedia, si distacca dal testo quel poco che basti a inscenare un rapporto di complicità con il pubblico, nel patto di fiducia che si instaura fra spettatori e attore, un patto di affidamento e di partecipazione. Stiamo giocando, sembra che ci dica nel primo tempo il regista, e gli scappa da ridere su tutto un assetto, su tutto un prendersi troppo sul serio, che va dall’atteggiamento della moglie del cavalier Fiorica al sussiego del delegato Spanò, al moralismo della madre, fino allo stesso Ciampa, marito geloso eppur consapevole del tradimento, a cui sarà costretta, noi supponiamo, sebben perpetrato dalla moglie, donna tenuta sotto sale, come le sardine, chiusa con un catenaccio.
” Moglie, sardine ed acciughe: queste, sott’olio e sotto salamoja; la moglie, sotto chiave.”
Tutto si regge fino a quel momento, sembra dicano nel primo tempo gli attori, se non prendiamo sul serio i propositi di verità.
Pausa, primo atto.
Secondo atto. Pupi, tutti Pupi, nel dramma. Il puparo non sta sulla scena del berretto a sonagli. Non si vede e benché tutti ne parlino o ne subiscano sue prepotenze si rivolgono al suo indirizzo con sussiego. Sola a ribellarsi la moglie, non tanto per rivendicare una sua identità ma per desiderio di scoperchiare un inganno: La vanità della moglie di Ciampa che esibisce, alla finestra, i gioielli avuti in dono dal cavaliere e il regalo di una collana a pendagli che non vedremo.
Come nella vita, nella società civile e non, nel secondo atto la conclusione dell’azione va per strade sconosciute a chi l’ha voluto e assistiamo allo sconcerto, al rimescolar di carte, al terribile non ritorno delle conseguenze.
Come nella vita, nella società civile e non, nel secondo atto la conclusione dell’azione va per strade sconosciute a chi l’ha voluto e assistiamo allo sconcerto, al rimescolar di carte, al terribile non ritorno delle conseguenze.
Il berretto a sonagli, commedia in due atti di Luigi Pirandello, fa parte della raccolta Maschere nude, analisi di una società civile che esiste se indossa una maschera, se ognuno dei partecipanti recita per bene il ruolo che gli viene assegnato, o quello che trova, o quello che viene imposto, nello spazio ristretto e asfittico della libertà personale.
Alla fine, fra gli applausi finali, Sebastiano Lo Monaco ci intrattiene, ci trattiene con lui, quasi a voler ricominciare la recita di un copione libero, un altro copione, il suo, sul suo vivere di teatro, un teatro sempre più difficile da far vivere e da viverci, sui legami che si creano fra una compagnia teatrale e un luogo, un pubblico, il piacere di tornare e voler ritornare ancora a Lamezia, la prima risata che unisce spettatori e attori in una complicità.
Ogni dramma dissipa l’azione umana, svanisce al vento, e svanire è anche il mezzo con cui si vince o si perde, nel momento individuale e nel fatto sociale.
Uno strumento da accordare giorno per giorno, il nostro ruolo con il contesto e risentiamo le parole di Ciampa mentre ci allontaniamo dai ruderi dell’abbazia benedettina, composti e meditabondi.
“La corda civile, signora. Deve sapere che abbiamo tutti come tre corde d’orologio in testa.
La seria, la civile, la pazza. Sopra tutto, dovendo vivere in società, ci serve la civile; per cui sta qua, in mezzo alla fronte. ‑ Ci mangeremmo tutti, signora mia, l’un l’altro, come tanti cani arrabbiati.
Ma può venire il momento che le acque s’intorbidano. E allora… allora io cerco, prima, di girare qua la corda seria, per chiarire, rimettere le cose a posto, dare le mie ragioni, dire quattro e quattr’otto, senza tante storie, quello che devo. Che se poi non mi riesce in nessun modo, sferro, signora, la corda pazza, perdo la vista degli occhi e non so più quello che faccio!”
e “Potessi farlo io, come piacerebbe a me! Sferrare, signora, qua per davvero, tutta la corda pazza, cacciarmi fino agli orecchi il berretto a sonagli della pazzia e scendere in piazza a sputare in faccia alla gente la verità. Sono i bocconi amari, le ingiustizie, le infamie, le prepotenze, che ci tocca d’ingozzare, che c’infràcidano lo stomaco! il non poter sfogare, signora! il non potere aprire la valvola della pazzia! Cominci, cominci a gridare!” Eh no…
Ippolita Luzzo