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secret concert #1: Oldseed live

5 min di lettura

Sono le 20.28 di sabato 16 dicembre.

Il messaggio, inviato solo e soltanto a chi ha fatto richiesta, e lo ha ricevuto solo e soltanto dopo un’attenta valutazione delle sue credenziali, dice: “il luogo del Secret Concert è in Via XXX, al n. XX. C’è un lungo viale, prima della casa rossa sulla sinistra.
Potrete parcheggiare là: oppure farlo sulla strada principale, ma siete pregati di non lasciare il vostro veicolo davanti la casa. Una volta arrivati, telefonate al numero che vi è stato mandato.
Si entra dal cancello che troverete socchiuso: citofonate, dite la parola d’ordine e si accenderà automaticamente la luce, troverete il portone a sinistra. Primo piano. Il concerto inizia alle 21.30. siate puntuali
”.

Seguiamo attentamente le indicazioni, certi di non trovarci in un agguato da film horror (la persona che mi ha contattato è degna di fiducia… spero). Arrivati quindi al primo piano, entriamo in un appartamento dalla porta socchiusa: dentro, per ora, poca gente.
Luci soffuse, atmosfera da festa del liceo anni ’90: feste in casa, tavolo sulla parete, panini misti e vino per la sete, sedie in fila al muro. Sparuti gruppi sconosciuti fra di loro che stentano a socializzare, complice il semibuio, parlottano, qualcuno sembra sapere chi si esibirà tra poco, qualcuno parla in hindi al cellulare, altri ancora mangiano.

Siamo al Secret Concert organizzato dagli Spaghetti Sunday, brillante realtà organizzativa musicale attiva da poco tempo a Lamezia.
Poco sopra ho scritto come gli ho dato fiducia: si, è stato per avermi fatto conoscere Sergio Beercock, che proprio i prodi della SS (detto così però suona strano) hanno portato presso il TIP Teatro. Cantante siculo-scozzese, dalla voce cristallina e dal talento purissimo, chitarrista eccelso e autore di un originale impasto musicale e narrativo che dai colori della Scozia arriva alle emotività della Trinacria.

Ma senza divagare… ripeto, siamo al primo Secret Concert (primo per me: ma magari i “veri” primi sono stati così segreti che io non ne sono venuto a conoscenza) della Spaghetti Sunday: invito ristretto solo ad amici e conoscenti, come location un’abitazione privata -la cui ubicazione, in quanto tale, è giusto rimanga secretata-, come protagonista della serata un misterioso singer straniero.

E si fanno le 21.30, mentre mi accorgo che alle mie spalle la discoteca è fornita di qualche cd che posseggo anch’io (Dark Side Of The Moon, The Wall, The Bends, The Beatles- Raccolta, Antichrist Superstar, se può interessare) mentre sulla parete difronte a me campeggia un poster di Casablanca (che mi sa tanto di film non visto, ma solo per far sfoggio di vaga cultura cinefila), poster di The Wall (che conferma la scarsezza cinefila: il film di Alan Parker era proprio brutto), un quadretto del Che e uno della psichedelica dei quattro di Liverpool. Insomma, più musica che cinema.

Ben mi sta.

Quindi…. Si fanno le 21.30, nella casa c’è uno strano tendaggio assimilabile ad una tenda. Il frontman della Spaghetti Sunday annuncia l’inizio del concerto: sarà un live acustico di Craig Bjerring, canadese anarchico che ha fondato il felice progetto musicale Oldseed. Un sognatore, lui: ma soprattutto un musicista straordinario.

Quando inizia a suonare imbracciando la sua chitarra acustica, salta subito evidente la sua simbiosi con lo strumento: che non suona, ma fa suonare attraverso le sue dita e la sua voce, potente e grezza.

Tempi smussati e armoniosi, un “folk” unplugged che mi fa ricredere sul genere (il folk americano non è nella top list delle mie cose musicali preferite), ma vengo a sapere che Craig è considerato l’antieroe del folk: lo assimila, lo disassembla e lo rimonta secondo i suoi bellissimi percorsi musicali. Una voce profonda e magnetica che racconta vite vissute e storie inventate, fra dolcezza e malinconia, fra sberleffo e gigioneria americana.
Catarsi emozionale, mai noiosa, che riporta a quei luoghi dalla natura sconfinata e che si avvicina un po’ alle altezze smisurate di Eddie Vedder, puntellati qua e là da villaggi di case di legno, camini di pietra e fuochi che bruciano come le note che saltellano fuori dalle corde di Craig. Oldseed trascina nei ricordi ma parla di emozioni, sul filo della memoria e dell’affabulazione.

Il live finisce, l’immancabile bis, e poi anche l’immancabile mio avvicinamento: i complimenti, la stretta di mano, l’acquisto del cd (che chiedo di autografare: e lui mi assegna un nome che non andrà più via, J. Lorenzo), la richiesta di un’intervista. Eccola qui di seguito. Poi andate a comprare il cd.

Gianlorenzo: Sei stato definitio come “l’antieroe del folk”: qual è il tuo processo creativo? Destrutturi il genere per ricomporlo secondo le tue inclinazioni musicali?

Craig: Penso che la definizione “anti-eroe” sia l’idea di qualcun altro, non mi appartiene.
È diventato un po’ l’idea fissa del web. Penso che questa definizione abbia più a che fare con il mio approccio a suonare che con la mia musica attuale, ma dovresti chiedere a chi mi ascolta.

Il mio processo creativo non è rivoluzionario. Scrivo parole, scrivo musica: e poi li metto insieme. Quello che mi piace davvero è come il fatto di suonare una canzone molte volte trasformi la canzone stessa; lentamente, nel tempo. Almeno questo è quello che mi sta facendo divertire, ultimamente.

G: Le tue canzoni rapiscono empaticamente: è un tuo obiettivo, o è qualcosa che si crea naturalmente durante i live?

C: Suonare dal vivo, da solo, con solo una voce e una chitarra, è difficile: è un vero e proprio lavoro. Devi coinvolgere il pubblico e tenerli lì. Molto di questo ha a che fare con la dinamica musicale e del corpo. Questo è qualcosa di cui ho fatto “scorta”, ho molta esperienza di live…

G: Una volta i musicisti ascoltavano lo stesso tipo di musica che facevano. Tu che musica ascolti?

C: Ascolto tutti i tipi di musica, ma soprattutto i generi diversi da quello che suono. Preferisco l’hard, mi piacciono le cose “weird”, strane. Come musicista, trovo che ascoltare musica faccia parte per forza del processo educativo. Sono sicuramente un ascoltatore attivo, sia per le composizioni che per gli arrangiamenti.

G: Hai dichiarato che scrivi molto quando sei in tour. Ti ispirano più le persone o i luoghi?

C: Le persone. Sicuramente, molto di più le persone. Mi piace trovare posti bellissimi da solo, ma suono musica per connettermi: so che sembra banale, ma è la verità. Ed è per questo che lo faccio.

GianLorenzo Franzì

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