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«Si duna alli sgasci»

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Espressione caratteristica del vernacolo lametino, che si adopera con riferimento ad una persona che, di fronte ad un pericolo presunto o reale, cerchi, con schiamazzi e gesti plateali, di attirare su di sé l’attenzione di chiunque possa prestargli un qualche aiuto (S. Sesto)

Il mondo di Quark, in tutto questo, sembra solidale da tempi molto lontani: perché!? Rimembranze della Città eterna, seguitemi! E quali, direte!? Per quanto mi concerne, ravvedo una delle leggende più famose, legata all’assedio di Roma da parte dei Galli. La vicenda si svolge sul Campidoglio, all’incirca verso il 390 a.C., là dove sorgeva il tempio di Giunone e, più precisamente, nel luogo in cui si trovavano le oche sacre alla dea.

I Romani, ormai sotto assedio, da molti giorni iniziavano a soffrire la fame, e benché la carne facesse «cichi cichi», come diciamo dalle nostre parti, non si lasciarono sopraffare dalla tentazione di ucciderle per sfamarsene.

Una notte i nemici tentarono un attacco notturno contro la rocca del Campidoglio: con grandi strepiti le oche, vedendoseli all’altezza della cinta muraria, svegliarono i soldati, che li combatterono con grande energia fino a respingerli: il pericolo dei barbari fu sventato e Roma salvata dalle oche che, «mo’ ci vò», «si dèzeru alli sgasci» per la salvezza di tutti. D’ora in avanti non diamo a nessuno dell’oca, grazie! Sono un SOS storico, a ben vedere, eh già!

Prof. Francesco Polopoli

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