Di spazio e di luce, l’artista Caporale al Marca
3 min di letturaAlla ricerca di uno spazio per trovare un po’ di luce sembra dicano i corpi fluttuanti, le teste staccate e cerchiate insieme con rane, le mani ed i piedi nel giallo e celeste di un luogo non luogo.
Così Marc Augè ricorda i non luoghi, dove l’umanità si accalca per lenire la solitudine di un vivere senza. Centri commerciali, nuovi spazi di un nulla umano che chiede il conforto di dimenticare.
Il quadro di Antonio Caporale sembra dialogare con Marc Augè e regala un non luogo dove mani, piedi e bocca chiedono e non ottengono, chiedono e vengono lasciati nuotare nel giallo di un non luogo.
L’alienazione si vede e si sente stasera, nella bravura dell’artista che mette nei colori e nelle sue figure quel grido, quella richiesta. quella fame di esserci, come identità, come persona.
Ci siamo? Ci siamo quando siamo in un luogo? Così ci chiedono quelle terracotte di argilla rossa ingobbiata di argilla bianca, liquida, (questa, mi spiega l’artista, la tecnica usata), ci siamo? e dove siamo? e a chi chiediamo qualcosa? inutile, il gesto sembra rivolgersi a chi ci sta accanto ed ogni gesto fluttua anche da fermo, fluttua, sui quadri, sulla terracotta, fluttua e si protende, inutilmente.
La curatrice della Mostra, Teodolinda Coltellaro, ci mostra la tensione spirituale del protendere, l’elevarsi proprio, io invece ne sento a pelle quel grande bisogno imploso, trattenuto sotto uno strato di bianco che mi ricorda il brano del Vangelo sui sepolcri imbiancati.
E ci sono moltissimi riferimenti stasera ad un Vangelo presente nella infanzia ed adolescenza di tanti di noi, nella preparazione alla Prima Comunione anche noi di bianco vestiti.
Fra discorso e ascolto un muro. Questa la sala del discorso,
dall’altra parte l’ascolto.
Al Marca le opere stanno in due sale parallele e non si incontrano mai, nemmeno fra i partecipanti accorsi numerosi all’inaugurazione della mostra. Da una parte i tre momenti del discorso “Il primo discorso e l’asino buono”, “Il secondo discorso una mano in preghiera” e “Il terzo discorso sulla montagna”, dall’altra parte del muro l’ascolto, nei tre momenti: ascolto da un solo orecchio, “Il primo ascolto” poi “Il secondo ascolto” e “Il terzo ascolto, il sogno si fece pane” ascolto e preghiera affinché possa la preghiera dare un senso alla solitudine del discorso.
Nel vagare da una parte all’altra trovo un ponte, fragile e messo in fondo ed io penso che forse il ponte dovrebbe stare a congiungere un discorso con un ascolto diventato ormai impossibile. “Passaggio del ponte da Occidente a Oriente” un passaggio attuabile solo attraverso il cuore, sembra ci dica l’opera che posiziona i due pilastri del ponte all’altezza dello sterno e non più della bocca.
Un passaggio di spazio e di luce.
Ippolita Luzzo