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Territorio e sanità. Gioacchino Criaco: il Sant’Anna in una Calabria Kafkiana

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In Calabria ogni vicenda nasce, si dipana, s’aggroviglia, si scioglie e si riattorciglia in un flusso di vita o di morte infinito, nel gioco perverso e fantastico di Farsa che insegue Tragedia, di Afrodite che infiora le onde e di Persefone che adorna gli Inferi

È così, sia fato o conseguenza di fatti. A piombarci all’improvviso si boccheggia, si cade: bisogna nascerci per saper stare fra la gravità o la sua assenza improvvisa. O si deve avere la forza e l’amore di viverci troppo a lungo per avere il coraggio o la paura di abbandonarla.

Pure la vicenda del Sant’Anna, pure un nosocomio privato, sta dentro questa dinamica. Ormai sfugge sia la pecca che la toppa: un toro che ora ti punge con le corna ora ti accarezza con una coda morbida. Sono sempre stato per la sanità pubblica: ho sempre pensato che uno Stato debba dare risorse per una sanità dignitosa, una sanità per tutti, e dopo averlo fatto non ostacoli chi da privato voglia aggiungersi.

Purtroppo: un Paese che per molti anni è andato in quella direzione, a un certo punto, per tante ragioni, le più molto poco nobili, ha ingranato la retromarcia. In alcuni settori e in alcuni luoghi la sanità privata ha riempito dei vuoti totali o parziali; in alcuni luoghi e in alcuni settori qualcuno ha operato perché la sanità pubblica scomparisse e prendessero il sopravvento le imprese private.

Nella sanità è successo di tutto: miracoli e fallimenti. Se si prendesse la storia del Sant’Anna, ognuno ci potrebbe leggere splendide poesie e pagine più prosaiche. I resoconti servono alla storia.

L’attualità ha bisogno del sostegno, dell’efficienza, della risposta. L’attualità ci narra che nel settore vitale della cardiologia e cardiochirurgia, ci sono alcuni straordinari centri d’eccellenza pubblica, con luminari come Fratto e Mastroroberto. L’attualità ci spiega che il settore pubblico andrebbe potenziato in risorse: mezzi e persone. Che le eccellenze potrebbero, e debbono, crescere.

Ma, al momento, accanto a questi fondamentali attori pubblici, sta, da privato, il Sant’Anna. La storia di come si sia arrivati a questo punto sarà utilissima per la storia e per il futuro.

Ma adesso bisogna che chi ne abbia la competenza si assuma la responsabilità di dire che il Sant’Anna vada chiuso, e perché va chiuso. O, che chi rappresenta lo Stato, anche in sede locale, responsabilmente decida che il Sant’Anna debba riaprire, e perché, e in che tempi. I titoli sul petto non è che possano servire solo per le parate o il conto in banca.
Qualcuno chiarisca rapidamente il destino dei 300 dipendenti della Struttura. Qualcuno spieghi ai pazienti che fine farà l’ospedale.
E qualcuno dica ai calabresi che tipo di risposte ci siano con o senza il Sant’Anna. La letteratura, gli ingorghi sintattici e culturali sono straordinariamente suggestivi, non però quando si abbia bisogno di un’operazione al cuore.

E pure chi si proponga di guidare la Regione prossimamente: bene i proclami roboanti, ma meglio una presenza di lotta nelle tantissime battaglie che una miriade di persone, tutt’altro che perse, mette in campo ogni giorno. E agli operatori del Sant’Anna: meno afflizioni e meno entusiasmi, che la Calabria più che la terra di Kafka è la Patria del pensiero levantino, e nulla mai è come sembra.

                                                                                                                                                                 Gioacchino Criaco  

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