Torna in onda su Rai Tre Storie maledette
3 min di letturaLa giornalista napoletana Franca Leosini è lì a “duettare” nuovamente con Baglioni: un felice sketch-interrogatorio sulle note di “Questo piccolo grande amore”.
«Su quell’aria da bambina, il cantante» – dice la conduttrice – «non ha attenuanti». Dopo il celebre «bacio a labbra salate, un gioco, quattro risate e far l’amore giù al faro», con il pubblico che fa il coro, Claudio esclama: «Ho testimoni».
Lei frena: «I dettagli morbosi non mi interessano, i dettagli scabrosi non mi riguardano». Baglioni canta «solo adesso me ne sto rendendo conto», ma il pentimento, sottolinea Franca divertita «non ha valore giuridico. Piuttosto, mi dica per bene la sua Versione dei fatti».
E qui Baglioni smette di suonare al pianoforte e prendendo alla lettera la sua richiesta, da perfetto liceale, si mette a dire così a voce alta e stentorea: Salvator Riina, sive Totò Riina, sive nuncupatus Totò Curtus (Totò u curtu), natus die 16 Novembris 1930 in urbe Corleone; mortuus die 17 Novembris 2017, fuit unus e potentissimis hominibus in Sicilia Honorabilis Societatis, vulgo Mafiae dictae. Necavit sua manu circiter quadraginta homines et dicitur interfectionem mille aliorum imperavisse.
Inter annos 1980 et 1990, Riina cum sua familia Mafiosa Corleonensi crudeliter dimicaverunt contra fures rivales et rem Publicam.
Ita duos iudices necaverunt: Borsellino et Falcone, in ordine cognominum. Tandem auctoritates publicae anno 1993 eum sociosque eius apprehenderunt et ab anno 1993 in carcere vivit.
Sed tamen res criminales non finem habuerunt: mafia est enim hydra cuius capita statim recrescunt cum secantur. «Oh che ruina! Questo, canta, allora!», lo blocca lei con un tono seccato.
«Sì, Riina», ribatte lui.
«Ma no, non è questo il tema della nostra serata», incalza la criminologa, portando il discorso più lontano, in piena (mitologia), addirittura, solo per dimostrare la natura limbica dell’uomo, come direbbe la Levi Montalcini.
Con i soliti occhiali posati sulla punta del naso e con voce da Minosse, legge davanti allo schermo un documento agghiacciante di Igino: «Tereo, figlio di Marte, divorò Iti, avuto da Procne.
Tieste, figlio di Pelope, mangiò i figli avuti da Erope: Tantalo e Plistene.
Climeno, figlio di Scheneo, mangiò il figlio che aveva avuto da sua figlia Arpalice». «Cosa intende dire »- dopo una non troppo lunga pausa di silenzio – chiede incerto lui: «ogni cronaca affonda le sue raggelanti radici nel cuore di tenebra degli uomini di tutti i tempi», conclude lei.
E nell’eco di penombra raggela ogni sguardo presente: persino la sigla di chiusura sembra un sibilo sinistro, come se, per un istante, fosse sopraggiunta, in quello studio, la presenza di una Gorgone.
Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.
Prof. Francesco Polopoli