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Tra filosofia e sentimento. Non c’è niente di buono nella guerra: solo la sua fine!

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Tra filosofia e sentimento

Mai pensare che la guerra, non importa quanto necessaria, non importa quanto sia giustificata, non sia un crimine. (Ernest Hemingway)

Il mondo assiste impotente in questo momento, allo svolgersi di una guerra inaspettata, allo scontro aperto fra potenze mondiali che sembrano non tenere in alcun conto quella parte di umanità che subisce un conflitto non voluto, terrorizzante.
Con la fine della Guerra fredda, molti hanno sperato che si aprisse un’era di pace, in cui molte delle risorse indirizzate a mantenere l’equilibrio del terrore, potessero indirizzarsi finalmente al miglioramento delle condizioni di vita dell’umanità. Non è andata così. È solo cambiata la tipologia dei conflitti, con una diminuzione di quelli fra Stati e un aumento dei conflitti interni, ossia di quelli che pur mantenendosi all’interno di uno Stato finiscono per coinvolgere altre nazioni.


C’è da chiedersi se, oltre alle ragioni politiche, economiche e sociali che hanno portato oggi allo scoppio del conflitto fra Ucraina e Russia, si debba guardare più in profondità e analizzare le ragioni di ogni contesa, cercare di capirne i meccanismi, nella speranza che tutto ciò serva in futuro ad evitare le sofferenze e la distruzione di risorse causate dalla guerra.
Il problema più grande che si presenta all’umanità, è la prevenzione di grandi guerre che coinvolgono il mondo intero. Tantissime le voci autorevoli che hanno affrontato il problema; fra questi Albert Einstein e Sigmund Freud, nel volume “Perché la guerra?” trovarono un accordo su due punti principali.
Il primo era il concetto che gli esseri umani sono soggetti all’istinto di conservare e di amare, ma anche all’istinto di odiare e distruggere. Ciascun istinto è indispensabile quanto lo è il suo opposto.

I fenomeni della vita vanno considerati come derivanti dalla loro interazione.
Il secondo punto era che l’impulso verso la guerra potesse essere frenato solo formando una classe superiore di grandi pensatori indipendenti capaci di illuminare e guidare sia gli intellettuali, sia le masse, quindi, a seguire i dettami della ragione, una speranza utopica secondo i due autori.
Ma è proprio vero che gli esseri umani sono portati alla distruzione? È questa l’origine di tutti i nostri mali?
Konrad Lorenz, uno studioso eminente nel settore del comportamento animale, definisce così il comportamento umano:
La violenza ha origine dalla nostra natura animale, da una irrefrenabile pulsione aggressiva e la cosa migliore che possiamo fare è capire le leggi dell’evoluzione che giustificano la potenza di questa pulsione.
Il comportamento aggressivo dell’uomo, sostiene Lorenz, quale si manifesta nelle guerre, nel crimine, nelle liti personali e in tutte le modalità di comportamento distruttive e sadiche, deriva da un istinto innato, genetico, che cerca di scaricarsi e aspetta l’occasione propizia per esprimersi

Questa teoria viene in parte suffragata dalla straordinaria opera “Anatomia della distruttività umana”, di Erik Fromm, psicoanalista tedesco di fama mondiale, che distingue nell’uomo due tipi di aggressività, molto diversi fra loro. Il primo tipo, benigno-difensivo, è comune a tutte le specie animali: è l’impulso innato, programmato ad attaccare o fuggire quando sono minacciati interessi vitali. Il secondo tipo di aggressività, maligno-distruttivo, è proprio invece della nostra specie: privo di scopi biologici o sociali, è una delle passioni dell’uomo, come l’amore, l’ambizione, la cupidigia. Fromm introduce, a questo proposito, il concetto di “necrofilia” che descrive in maniera esaustiva e determinante personalità complesse come quelle di Hitler e di Stalin, che nel testo vengono analizzate attentamente. Egli definisce Hitler “un caso clinico di necrofilia”, definendo questo carattere come “l’attrazione, la passione per tutto quanto è morto, putrido, marcio, malato, la passione nel trasformare ciò che è vivo in non-vivo; distruggere per il piacere di distruggere; l’interesse esclusivo per tutto quanto è puramente meccanico”.


Inevitabilmente, in questo momento storico, viene da sé che l’interpretazione di Fromm risulti più che mai calzante, nel riferimento a personalità complesse che sembra riduttivo definire “dittatori o potenti conquistatori” perché caratterizzati da una inspiegabile propensione alla distruzione di tutto ciò che ostacola la volontà di dominio.
Alla luce di queste teorie espresse da voci più autorevoli della nostra, sembra inevitabile il ripetersi dei conflitti che rispondono al bisogno di sopraffare insito nella natura umana, ma noi vogliamo ricordare e condividere un grande monito, in cui crediamo:

“Non esiste un modo onorevole di uccidere, né un modo gentile di distruggere. Non c’è niente di buono nella guerra, eccetto la sua fine”. (Abraham Lincoln). 

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