Trame12. In memoria di Lollò Cartisano
4 min di lettura“La morte di Lollò è stata una morte, suo malgrado, importante nella storia della Calabria. Il suo è l’ultimo sequestro di persone, l’ultimo di una stagione drammatica che ha segnato il nostro territorio. Centinaia di persone sono state sequestrate in Aspromonte. Lui viene sequestrato il 22 luglio 1993 a Bovalino ed è il diciottesimo cittadino di Bovalino che viene sequestrato. La sua morte serve a dirci molte cose. La prima cosa è che essere sequestrati in quegli anni poteva capitare a chiunque. Lollò non era un miliardario, era una persona che stava bene, faceva il fotografo dei matrimoni, per cui non era una persona che pensava di essere in pericolo. Era una persona che però si ribellava alla ‘ndrangheta, che non pagava la mazzetta, ma che denunciava. L’altra cosa che ci serve è quella di raccontare che i calabresi in quegli anni erano vittime di un grande pregiudizio. Tutti in Italia pensavano che i calabresi fossero un popolo di sequestratori. In realtà l’esperienza di Lollò e di tantissime altre persone ci dice che i calabresi erano un popolo di sequestrati. La terza cosa che ci dice l’esperienza e la storia tragica di Lollò Cartisano è che dopo il suo sequestro nasce a Bovalino un comitato che si chiama Comitato pro-Bovalino Libera, che rappresenta una straordinaria esperienza di anti-ndrangheta. Tutti pensano che i calabresi sono abituati ad accettare tutto, che non si sono mai ribellati, che non hanno mai avuto la forza di dire di no. Invece non è così. Quell’esperienza di quelle ragazze e di quei ragazzi è stata l’esperienza di chi non accettava più la situazione e che è stato in grado di costringere il governo italiano, la commissione a occuparsi di quello che avveniva a Bovalino. E questa storia è una storia che era già capitata in Calabria, cioè tantissime migliaia di calabresi si sono ribellati, hanno avuto la forza di scontrarsi in un corpo a corpo feroce, pericoloso con la ‘ndrangheta dal secondo dopoguerra in poi. A volte hanno vinto, altre volte hanno perso. Io credo che l’esperienza della figlia di Lollò Cartisano Debora è diventata un punto di riferimento dell’anti-ndrangheta in Calabria, e ci serve a ricordare un pezzo della nostra identità migliore, di calabresi, di mediterranei, ma direi anche di italiani. In questo caso c’è stata una grande, straordinaria battaglia per la democrazia. Come accade in alcuni casi potremmo vincere, altre volte potremmo drammaticamente perdere, questo perché le istituzioni non sono state in grado di assicurare verità e giustizia a tante vittime innocenti, non sono state in grado di supportare la straordinaria battaglia dei calabresi, non ci sono state sentenze nei tribunali, non c’è stata una classe dirigente che ha saputo valorizzare quell’esperienza. Io penso che da lì dobbiamo ripartire per cambiare le cose.
Possiamo mantenere la memoria delle vittime di ndrangheta raccontando queste storie. Queste storie ormai sono emerse, ce ne sono tante, alcune le abbiamo scritte noi, altre sono emerse negli anni successivi. Ma la storia dell’anti-ndrangheta adesso c’è, è disponibile a tutti e quindi questa storia si può raccontare, va raccontata a tutti, vanno recuperate le pagine migliori di quella storia e va condivisa il più possibile. E dall’altra parte io credo che il nostro popolo debba continuare nella richiesta di giustizia. Tre storie su quattro, forse anche quattro su cinque non hanno avuto verità e giustizia nei tribunali. Io credo che noi dobbiamo continuare a chiedere che si faccia verità e che si faccia giustizia su queste storie e credo che sia un esercizio necessario per restituire un po’ di dignità alle istituzioni che sono state violate e restituire un po’ di fiducia ai cittadini. Io credo che la memoria di queste persone si possa conservare se tutti quanti mettiamo in campo un po’ di battaglie per i diritti e per la libertà, una cosa che ci siamo un po’ dimenticati. Non dico soltanto una perché altrimenti dovrei farla veramente lunga, però la sanità. La sanità dovrebbe essere un diritto, la sanità dovrebbe essere un diritto”.
Lo ha dichiarato Danilo Chirico intervenuto a Trame12 per ricordare Lollò Cartisano e le vittime innocenti di ndrangheta calabresi.