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TrameFestival8. Voci da un altro mondo

8 min di lettura

Parole d’onore. Le voci della mafia, questo il titolo della performance andata in scena sabato 23 giugno nello storico Chiostro di S. Domenico. Un racconto a due voci con Attilio Bolzoni, giornalista, e Marco Gambino, attore, per la regia di Manuela Ruggiero. Un’altra produzione di Trame teatro, tratta dall’omonimo libro di Bolzoni, per l’edizione numero otto di Trame. Festival di libri sulle mafie con la direzione artistica di Gaetano Savatteri che si è svolta a Lamezia Terme dal 20 al 24 giugno 2018.

Bolzoni e Gambino procedono attraverso due itinerari di ricerca diversi per sensibilità, strumenti di analisi, di lavoro. Il punto di incontro di questo viaggio è il palcoscenico. Il risultato finale del loro sforzo interpretativo, di conoscenza  è lo spettacolo con Bolzoni che incarna il côté più realistico e Gambino quello più visionario e impalpabile in una somma di armonia razionale ed emotiva insieme.

 La voce narrante di Bolzoni ci introduce nella variegata fenomenologia mafiosa attraverso una miscellanea di brani. Da questo contesto narrato Gambino estrapola i personaggi più significativi costruendo con la sua interpretazione proteiforme un universo di segni, di parole, di silenzi. Con mirabile intensità, in una lingua ribollente di umori dialettali e nera ironia, Gambino riesce a trasmettere le tensioni di tutti i personaggi che lo abitano attraverso una gamma di atteggiamenti gestuali minimi che trovano compendio nel movimento delle mani.
Mani agili nervose vorticanti scattanti. Mani che parlano.

E le parole sono dighe che rimangono lì a bloccare ogni tipo di comunicazione o sono porte e in questo caso sembrano spalancarsi all’infinito, una dopo l’altra, senza per questo condurre ad alcuna meta precisa, ma avviluppando lo spettatore nella vertigine della loro successione più o meno armoniosa o invischiante.

“Sono voci che provengono da  altro mondo. Portano sempre un messaggio. Parlano di moralità e famiglia, affari e delitti, regole, amore, amicizie tradite, di religione e Dio, soldi e potere, di vita e di morte.[…]”

E così la voce di Riina con la sua improbabile e accalorata difesa davanti ai giudici. Corleone e i suoi cittadini illustri tra santi, letterati, sindaci, pittori, patrioti, abati, sindacalisti e mafiosi. Vito Corleone, protagonista de “Il Padrino” di Mario Puzo che nel suo nome reca l’omaggio a Ciancimino e quello alla città siciliana. La condanna dei pentiti da parte del Capo dei Capi definiti “una manata di indegni”, “l’Italia dove deve andare con questi pentiti? Troppi pentiti, troppi tradimenti, troppe cose tinte.”  Gaspare Mutolo? “Un bellissimo droghiere”. E ancora Corleone disseminata di cimici che diventa un grande microfono e Gaetano Riina, il fratello più piccolo di Totò, che a proposito del pentimento di Buscetta dice “Ha visto il mondo e gli è scoppiato il cervello” e il cognome del grande pentito a Palermo diventa sinonimo di “spione”.

E poi il rituale del bacio tra uomini d’onore. La cerimonia di iniziazione, con la punciuta al dito e la santina della Madonna dell’Annunziata, protettrice di Cosa Nostra, che viene bruciata mentre si pronuncia il giuramento che somiglia ai dieci comandamenti “Come carta i brucio, come santa ti adoro, come brucia questa carta possa bruciare la mia carne se un giorno tradirò la Cosa Nostra…. Noi siamo uomini d’onore, gli altri sono uomini qualsiasi. Siamo l’élite della criminalità, assai superiori ai delinquenti comuni. Siamo i peggiori di tutti.”

La mappa topografica dei commercianti di Palermo che pagano il pizzo da Via Napoli a Via Venezia, da Via Roma a Rione Capo, da Via Bandiera alla Vucciria… “Si può anche pagare a rate ma Natale o a Pasqua si salda sempre tutto, la dispensa dalla mesata c’è solo in un caso: un lutto in famiglia.”… Ma le estorsioni costituiscono una sorta di garanzia anche per chi paga “Primo perché si instaura un rapporto d’amicizia tra quelli che vanno a prendere la mesata e loro e poi perché sono garantiti. Se succede qualche furto, quelli dell’ambiente mafioso si daranno da fare per fargli restituire la roba rubata e se qualcuno combina una truffa c’è gente a disposizione per farci restituire i soldi… No, non è che ci perde soltanto è anche una questione di dare e di avere.”  E ancora l’articolo 416bis e la professione di innocenza di Giuseppe Campo “[…] se per mafia s’intende, come io intendo, fare del bene al prossimo, dare qualcosa a chi ne ha bisogno, cercare  lavoro per chi non ne ha, prestare soccorso per  chi è in difficoltà, in questo senso sono stato, sono considerato e mi considero mafioso…Io non mai prestato nessun giuramento per aderire alla mafia. Io sono nato mafioso”. E così Giuseppe Gianco Russo considerato il capo dei capi della mafia “[…] La gente dice che sono un uomo molto potente e molto famoso: io dico che sono soltanto il capo della mia famiglia…La gente dice che parlo poco per discrezione. No, io parlo poco perché poco so… e non parliamo di mafia, parliamo di amicizia”. A seguire i tanti, troppi “non mi ricordo” di Calzetta e i 63 colpi sparati alla schiena a Giaconia “per sbaglio”.

E poi La “devozione” degli uomini d’onore. Benedetto Santapaola che sogna di fare il sacerdote e finisce col fare l’assassino. Pietro Aglieri, “U signurinu”, il più mistico di tutti. “Ma voi ve lo siete mai chiesto perché la cupola si chiama cupola?”

E ancora il monologo di Michele Greco “il Papa” “…Mi chiamano il Papa. Certo che io non mi posso paragonare ai papi per dottrina, cultura, o intelligenza ma per la mia coscienza serena e la mia profonda fede posso anche sentirmi pari a loro se non superiore! Io ho la pace interiore. Io ho una grande pace interiore che se anche mi portassero nel sotterraneo con le catene ai piedi io sprizzerò sempre serenità…La calunnia, la calunnia è arrivata sulla terra quando sono arrivati i primi uomini ed è stata sempre portatrice di atroci conseguenze. A  me mi hanno distrutto le lettere anonime. Un anonimato cieco e cattivo. E ora con il vostro consenso vorrei farvi un augurio. Io vi auguro la pace e la serenità a tutti voi. Che queste non sono parole mie ma parole di Nostro Signore. E scusatemi, ma la pace e la serenità sono fondamentali per giudicare. Io vi auguro che questa pace e questa serenità vi accompagnino per il resto della vostra vita.”

Poi la mappa criminale delle ‘nciurie ovvero una carrellata in ordine sparso dei soprannomi dati ai mafiosi: Bambolina, Mangialasagne, Totò Batteria, Culumusciu, Carognetta, Padrenostro, U tratturi, U vampiru, Zio Paperone, Rollò, Madre Natura, il Professore, Cicciu spara spara… e poi sempre lui, U curtu, Salvatore Riina e i suoi rapporti con i servizi segreti deviati “Io Salvatore Riina sono estraneo a questi riconoscimenti. Io nella mia vita non ho mai trattato con persone che la pensavano al di fuori di come la pensavo io. Se qualcuno dove trattare con me la doveva pensare come me… Voi lo dovete sapere chi è Salvatore Riina… Riina Salvatore è Riina Salvatore di Corleone, paese agricolo di campagna sperduto e buttato là…”

Ancora scambi epistolari tra uomini d’onore che parlano di formaggio, televisioni dal segnale disturbato, cicoria e raccomandazioni. Poi le angosce, le incertezze sessuali, le sofferenze e le insofferenze dei familiari di Cosa Nostra che finiscono sul lettino degli strizzacervelli e i dati di tante cartelle cliniche che diventano confessioni. Il divieto per gli uomini d’onore di avere delle amanti. La professione di assoluta fedeltà alla famiglia da parte di Gaetano Badalamenti e Totò Scaglione. L’onta che colpisce la famiglia di Pippo Calò dove alcuni uomini d’onore avevano le amanti e per questo definita  la “famiglia degli spazzini” perché senza moralità. Quella delicata dichiarazione d’amore per Rosaria sulle note di “Era de maggio”, grande amore osteggiato perché figlia di genitori separati “Fui duro e cattivo e ci dissi di non cercarmi mai più. Io ci volevo bene a Rosaria”… Palermo, città che cambia con la morte di Falcone e Borsellino. “Palermo, città fatta di lapidi, altarini e mazzi di fiori ad ogni angolo di strada. 100 omicidi nel 1981. 100 omicidi nel 1982. 100 omicidi nel 1983. Ogni volta che c’è un cadavere per terra tutti corrono a vederlo. Prendono i bambini per mano, se li mettono sulle spalle e dicono “talìa, talìa” guarda, guarda… È opulenta Palermo. Non è ricca, è sfrenatamente ricca. Palermo è la città d’Italia dove si vedono più gioielli. Tutto ciò che è costoso, firmato, esclusivo. È ostile Palermo. Ci sono due o tre magistrati che sfrecciano nelle loro auto blindate per le vie della città. Sirene, rumori, ci sono cittadini indignati che scrivono lettere al Giornale di Sicilia che volentieri le pubblica. Una di queste è della signora Patrizia…La signora Patrizia è vicina di casa del giudice istruttore Giovanni Falcone”.

E poi l’Antica Focacceria San Francesco. Le sue focacce con la milza, il polmone e i riccioli di caciocavallo le hanno mangiate Francesco Crispi, Luigi Pirandello, i reali d’Italia, di Spagna, di Belgio. I Conticello, proprietari da cinque generazioni, devono “mettersi a posto” e così Vincenzo Conticello si ribella e decide di denunciare gli estorsori. In tribunale uno degli estorsori Francolino Spadaro alla fine del suo interrogatorio grida “La mafia fa schifo”. “La mafia fa schifo”, campagna pubblicitaria della Regione Sicilia. “La mafia fa schifo”, battuta pubblicitaria inventata da Totò Cuffaro quando era sotto indagine per concorso esterno per associazione mafiosa. “La mafia fa schifo”, battuta pubblicitaria che piace anche ai mafiosi. Da “La mafia non esiste” a “La mafia fa schifo” sono passati venti anni. Oggi è una mafia che si nasconde dietro gli slogan dei propri nemici. È una mafia che ha scoperto il valore dell’antimafia. L’antimafia è diventata un capitale anche per Cosa Nostra. Ed esiste in Italia una zona franca della legalità dove ci sono gli abitanti più buoni e onesti del Paese. Si trova  a Caltanissetta, è stata voluta dall’ex governatore della regione Sicilia, Raffaele Lombardo, condannato per reati di mafia e da un imprenditore, il cav. Calogero Antonio Montante detto Antonello, nominato poi da Angelino Alfano, Ministro dell’Interno, all’Agenzia dei beni confiscati.

“La mafia fa schifo. La mafia fa schifo. La mafia fa schifo. La mafia fa schifo. La mafia fa schifo”.

“Adesso basta. Basta con la lotta all’antimafia e questi percorsi di verità. Leggiamo una bella lista  e finiamola qua”.

E con l’inventario delle cose ritrovate nel covo di Bernardo Provenzano tra cioccolatini, santini, maglioni di cashmere, dischi e la raccolta delle canzoni dei Puffi finisce lo spettacolo “Chi siano non lo so /
gli strani ometti blu / son alti su per giù / due mele o poco più”.

La mafia non esiste più? La mafia ha solo cambiato pelle come il serpente. La mafia si è attrezzata dopo la parentesi stragista, la nuova mafia è esattamente la mafia di sempre, si è riappropriata della sua natura, ha ripreso le promiscuità degli anni 60-70, non è più la mafia che dichiara guerra allo Stato ma si relaziona con gli altri poteri come ha sempre fatto. Dolcemente, mollemente. Senza più armi. Perché la mafia se non la cerchi non la trovi. Si mimetizza. Eppure c’è. Forte  e subdola. Nella vita e con le parole di tutti i giorni.

Applausi scroscianti. Spettacolo straordinario.

Giovanna Villella

[foto di scena Ennio  Stranieri]

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