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Trasformazione clausola del 34%: opportunità o illusione per il Mezzogiorno?

5 min di lettura
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La clausola del 34%: fra promesse di sviluppo e incertezze economiche per il Sud Italia

Il silenzio degli economisti sulla modifica della clausola del 34% delle spese dello Stato al Sud. Il passaggio al 40% delle “risorse allocabili” cosa significa? Nessuno risponde.

Oltre il silenzio della politica e della grande stampa, come era già stato denunciato, si aggiunge ora il silenzio degli economisti.

Raffaele Fitto, prima di volare per Bruxelles, partorisce il Decreto Coesione con il quale modifica la clausola del 34%. Si passa dal 34% delle spese in conto capitale alle regioni dl Sud Italia, ad un 40% di risorse allocabili alle regioni del Sud, senza specificare a quanto ammontano. Potrebbero essere anche due euro. Le spese in conto capitale mediamente ogni anno sono oltre i cento miliardi, per cui il 34% ammonta ad oltre 40 miliardi. È impossibile invece stabilire quali siano le risorse allocabili.

Una serie di domande è stata rivolta a diversi economisti meridionalisti. Ma nessuno ha risposto. O meglio, le risposte sono state ancora più incerte della norma.

Premessa

La clausola del 34% è stata introdotta in sede di conversione del decreto-legge n. 243/2016 e s.m.i nella legge n. 18/2017. Nel mede di luglio 2024, con la conversione in legge del Decreto Coesione, tale norma viene sostanzialmente modificata. Secondo Fitto, in qualità di ministro per il Sud, la clausola sarebbe stata ampliata con beneficio per le regioni del Sud. Sul sito del Dipartimento per le politiche di coesione e per il sud, viene così presentata:

«Il comma 5 dell’articolo 11 del decreto-legge n. 60/2024 e s.m.i., rinnova e rafforza la clausola di destinazione territoriale degli investimenti statali ordinari (…) prevedendo che le Amministrazioni centrali dello Stato debbano destinare alle regioni del Mezzogiorno il 40% delle risorse ordinarie in conto capitale».

Inoltre, specifica:
«Il Dipartimento, ai sensi dell’articolo 7-bis del decreto-legge n. 243/2016 e s.m.i. e del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 21 gennaio 2021, pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 19 marzo 2021, n. 68 ha predisposto, in collaborazione con il Dipartimento per la programmazione economica della Presidenza del Consiglio e con la Ragioneria Generale dello Stato, il testo della circolare del 5 agosto 2021 del Ministro per il Sud e la coesione territoriale che definisce i modelli di comunicazione dei dati da parte delle Amministrazioni centrali relativi alla programmazione delle risorse (modello fase ascendente) e all’impegno e all’erogazione della spesa, con riferimento all’anno precedente all’esercizio finanziario di riferimento (modello fase discendente)».

Null’altro. Finora questi documenti non sono mai stati resi noti, e quindi presumibilmente mai presentati. Non vi è mai stato un monitoraggio. Comunque sia questa norma è stata superata e modificata.

Potrebbe essere realmente un potenziamento della norma?

Ciò che è chiaro è che si passa dal 34% delle spese in conto capitale al 40% delle risorse allocabili.

Attualmente l’articolo 7-bis si presenta nella seguente maniera:
“Art. 7-bis Principi per il riequilibrio territoriale.
In vigore dal 08/05/2024
Modificato da: Decreto-legge del 07/05/2024 n. 60 Articolo 11
2. Al fine di ridurre i divari territoriali, il riparto delle risorse dei programmi di spesa in conto capitale finalizzati alla crescita o al sostegno degli investimenti da assegnare sull’intero territorio nazionale, che non abbia criteri o indicatori di attribuzione già individuati alla data di entrata in vigore della presente disposizione, deve essere disposto anche in conformità all’obiettivo di destinare agli interventi nel territorio delle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna un volume complessivo di risorse non inferiore al 40 per cento delle risorse allocabili”.
Precedentemente, il comma 2 dell’art. 7-bis era:
“2. Al fine di ridurre i divari territoriali, il riparto delle risorse dei programmi di spesa in conto capitale finalizzati alla crescita o al sostegno degli investimenti da assegnare sull’intero territorio nazionale, che non abbia criteri o indicatori di attribuzione già individuati alla data di entrata in vigore della presente disposizione, deve essere disposto anche in conformità all’obiettivo di destinare agli interventi nel territorio delle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna un volume complessivo di stanziamenti ordinari in conto capitale almeno proporzionale alla popolazione residente”.

Sorge una serie di interrogativi e riflessioni sulle implicazioni di tale modifica.
Di fatto cosa cambia? Quali sono le “risorse allocabili”?

Nel passaggio da “34% di spesa in conto capitale” a 40% delle risorse allocabili” può esserci effettivamente un beneficio per il Sud Italia?

Se nel bilancio annuale le spese in conto capitale vengono quantificate in una apposita voce, le risorse allocabili non hanno criteri oggettivi per la destinazione geografica territoriale. Quale certezza si può avere sull’ammontare delle risorse?

È possibile che questa modifica in “risorse allocabili” sia stata resa necessaria per adattare la norma del 34% alla autonomia differenziata?
Quanto incide l’autonomia differenziata in tutto ciò?

Se con l’AD viene a diminuire l’importo totale delle entrate dello Stato, quale potrà essere la quota che il governo ha per la ridistribuzione delle risorse, e soprattutto quale potrà essere l’importo delle “risorse allocabili”?
I “residui fiscali” quanto incidono sulle risorse da ripartire al 40%?

Nel nuovo Piano Strutturale di Bilancio, il documento di pianificazione economica voluto dall’Europa, il federalismo fiscale e l’autonomia differenziata vengono presentati come “misure per equità ed efficienza”. Ma non si parla di “risorse allocabili”, mentre è quantificabile la cifra destinata alle spese in conto capitale. Insomma, la combinazione delle attuali norme, PSB, Autonomia Differenziata e Decreto-legge Coesione, fanno veramente bene al Mezzogiorno?

Il termine di paragone è il PNRR.

Dalle stesse dichiarazioni di Fitto si legge che: «L’obiettivo prioritario della riforma è quello di introdurre nella politica di coesione il modello orientato ai risultati – già sperimentato con successo nel PNRR – attraverso l’individuazione dei settori prioritari strategici degli interventi e un sistema di cronoprogrammi e verifiche periodiche».
A questo proposito riportiamo una considerazione del prof. economista G. Viesti.
«In realtà, il PNRR non ha una esplicita dimensione territoriale: in esso mancano sistematicamente i criteri che, per ciascuna delle sue misure, dovrebbero ispirare l’allocazione geografica delle risorse. Mancano, cioè, indicatori relativi ai livelli di sviluppo delle diverse aree, alla gravità dei problemi occupazionali e alla dotazione territoriale di infrastrutture e servizi pubblici sulla base dei quali dovrebbero essere modulati gli interventi. Gli stessi obiettivi da raggiungere sono quasi sempre declinati come medie nazionali. Il Piano procede per linee settoriali, a “canne d’organo”: sono molto poche le misure in cui è indicata la destinazione territoriale degli investimenti».
Alla luce di queste ultime considerazioni, possiamo ritenere una norma alquanto incerta e anche rischiosa quella della destinazione di un 40% di risorse allocabili senza alcuna definizione e criterio che ne determini l’applicazione e, soprattutto, la quantificazione?

Rosella Cerra, coautrice con Roberto Longo, del libro “34% la storia di una legge per il Sud – La questione meridionale a Bruxelles”, che ripercorre le fasi di definizione, e di non attuazione, della legge sul 34% .

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