Il traverso contributo italiano alla guerra dimenticata in Yemen
4 min di letturaPerugia – In un’epoca dove le notizie di stragi, attentati e guerre sembrano rincorrersi senza soluzione di continuità riempendo colonne e colonne di giornali, in un’era dove i ripetuti atti di violenza non ci ci lasciano quasi il tempo di riflettere sul periodo storico che stiamo attraversando, c’è un conflitto, sanguinosissimo, che pare essere considerato dai media come un conflitto di seconda serie, tanta poca è l’informazione destinata alla vicenda: parliamo della guerra in Yemen.
Scoppiato nel marzo 2015, da allora il conflitto yemenita ha provocato più di 7.000 morti e 43.000 feriti, con oltre 3.200 bambini coinvolti negli scontri. Questo isolamento dalla comunicazione mondiale lascia lo stato asiatico alla mercé del proprio destino. All’undicesima edizione del Festival Internazionale del Giornalismo in corso di svolgimento a Perugia, “Yemen: il costo umano di una guerra dimenticata”.
Il panel discussion ospitato dalla Sala delle Colonne di Palazzo Graziani, ha messo in risalto l’emarginazione mediatica di uno scontro civile tra le forze degli Huthi, che controllano la capitale Sana’a e sono alleate con le forze vicine all’ex presidente Ali Abdullah Saleh, e le forze lealiste che sostengono il governo di Abd Rabbuh Mansur Hadi, con sede ad Aden. Anche al-Qāʿida nella Penisola Arabica e gli affiliati yemeniti dell’Isis hanno dato il loro duro contributo a un conflitto che sembra non trovare fine. Ne hanno parlato Laura Silvia Battaglia, giornalista professionista freelance e corrispondente da Sana’a per varie agenzie internazionali di stampa e per i quotidiani italiani La Stampa, Avvenire e Il Fatto Quotidiano, Michele Trainiti, operatore umanitario di Medici Senza Frontiere e Dino Giarrusso, dal 2014 fra gli inviati del programma televisivo Le iene. Proprio Giarrusso, impegnato soprattutto in fatti di politica, ha realizzato una inchiesta nella quale ha raccontato la drammatica condizione dello Yemen con un forte accento sulle responsabilità italiane nei rifornimenti armamentari dati alla militarmente impegnata Arabia Saudita.
Nell’incontro si è discusso del ruolo dell’Italia nel conflitto, una Italia vista come indiretta promotrice della guerra essendo fornitrice di armi alla coalizione dominata dall’Arabia Saudita. Tutto ciò è stato tenuto taciuto dalle nostre istituzioni fino al rinvenimento di alcune bombe non esplose con il telaio che riconduceva al nostro paese. Rifornimenti avvenuti in barba alle disposizioni contenute nella legge 185/90 sull’export delle armi “nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”. È possibile tutto questo? Gli affari commerciali valgono più della vita di migliaia di civili? Dino Giarrusso, già membro della giuria dei David di Donatello e dell’Accademia del Cinema Italiano, ha svolto l’inchiesta giornalistica in cerca di risposte a questo quesito, risposte che, se non in maniera evasiva, non sono mai arrivate.
La conversazione si è rapidamente ampliata con l’apporto offerto via Skype da Christine Monaghan, direttrice di ricerca di Watchlist on Children and Armed Conflict, organizzazione impegnata nel documentare il conflitto civile che ha sconvolto lo stato della Penisola araba. Le guerre intestine tra le varie fazioni, inoltre, non hanno risparmiato lo Yemen dalla distruzione e dal saccheggio di musei e siti archeologici favorendo il traffico nero del patrimonio culturale yemenita verso il mondo.
A questo si aggiungono i continui attacchi alle strutture ospedaliere del Paese, oramai tutte chiuse, che contribuiscono a incrementare ulteriormente il tasso di povertà della popolazione e il suo mal nutrimento. In Yemen tre milioni di donne e bambini non sono nutriti adeguatamente e ogni dieci minuti un bambino muore. Dice Michele Trainiti di Medici Senza Frontiere: “La violenza in Yemen colpisce soprattutto i civili e non ci sono mezzi per portare cure adeguate”. Quella in Yemen, è una guerra che dura da due anni tra l’indifferenza dei media, anche italiani, che non parlano e non approfondiscono la realtà yemenita appunto per il proprio coinvolgimento indiretto nel conflitto che opprime centinaia di migliaia di civili.
Antonio Pagliuso