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‘U’ mmòvar’i vispàri!

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‘U’ mmòvar’i vispàri!

«Non muovere i vespai!». Questo – come l’analogo modo di dire «‘u rrisbigliàr’ (o arribbillàri) ‘i vespi» («non svegliare o attizzare le vespe!») – sottolinea la necessità di non suscitare contrasti e sollevare questioni, che potrebbero creare subbuglio in mezzo alla gente

Entrambe le locuzioni hanno un loro antecedente nell’esortazione di non irritare un focolaio di vespidi («sphekiàn erethìzein»), rinvenibile nella Lisistrata (v. 475) di Aristofane, senza dire che potrebbero accostarsi, concettualmente, all’aforisma, ben più solenne ed incisivo, tramandatoci dai Romani, «mota quietare, quieta non movēre» («calmare ciò che è agitato, non agitare ciò che è calmo»).

Eppure, malgrado la sapienza popolare, siamo sempre più trascinati da orde impulsive d’insipienza: quante volte siamo usi dire – a frittata fatta, magari – e con qualche “mea culpa” (si spera) «ce la siamo cercata?».

La regola delle 11 P (Prima Pensa Poi Parla Perché Parola Poco Pensata Può Produrre Pentimento) va introiettata, allora, per evitare iniezioni inutili di veleno: non credete!?

Prof. Francesco Polopoli

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