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«‘U puarcu è alla muntàgna e lla quadàra vulli!»

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«Il maiale è ancora in montagna ed il pentolone già bolle!»: locuzione lametina che corrisponde, sul piano semantico, ai nazional-popolari «vendere la pelle dell’orso prima di averlo abbattuto» o «vendere l’uccello sulla frasca» e che si usa, come quest’ultimi, a proposito di quanti corrono troppo con la fantasia, facendo previsioni rosee su fatti e circostanze, che sono ancora di là a venire e che non si sa nemmeno se si verificheranno mai.

Una curiosità: il nostro vernacolo non ricorre al lessico zoofilo per esprimere la medesima idea ma a quello anforario, fateci caso! A volte siamo proprio di coccio, mi sa! E qui apro una chiosa linguistica: «quadàra», stando ai lessicografi, è «un vaso grande di rame da scaldarvi e bollire dentro checchessia»: al di là del materiale compositivo, mi preme evidenziare la matrice classica di questa curiosissima parola.

Dal latino «caldaria» sono derivati il prov. «chaudiera», il fr. «chaudière», lo sp. «caldera»: insomma, una «quadarata» di vocaboli, detto con sottile dose d’ironia filologica.  Ma torniamo alla nostra postilla paremiologica dopo questo brevissimo intermezzo etimologico: per richiamare le persone alla vita reale, gli antichi Romani solevano ricorrere all’espressione, che sa pure di paradosso, «priusquam pinsueris, farinam subige» («impasta la farina, prima di aver macinato»).

La frettolosità, e mi concludo per deduzione esperita, è nemica del buono: lo sappiamo tutti, del resto, sulla falsariga della sapienza nostrana, che «‘a gatta priscialora fhici ‘i figlji cicati»; pertanto, ne consegue che la sana pazienza, produttiva di maggiori frutti, è tanto più pratica, quanto è meno «spiculativa».  Adagio, allora, come in musica, e ne verrà fuori qualcosa!

Prof. Francesco Polopoli

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