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Un figlio serpente: una fiaba femminicida

5 min di lettura
serpente

Purtroppo è quanto ritroverete, sorpresi, tra le righe di questa brevissima lettura: quanto scritto, per inciso, appartiene alla geografia dello spirito bruzio. Totum Brutium est. Non è calabrese, invece, la massima «parenti serpenti», benché, nel nostro caso, un rettile serpeggi tra le pieghe della narrazioneUn re ed una regina vivevano senza figli da tanto tempo: malgrado voti e penitenze la loro famiglia era senz’alcun erede ed il fatto arrecava sofferenza ad entrambi, pur non intaccando il loro forte sentimento coniugale. Per fare un esempio, ogni visione era ricondotta a questa loro sentitissima privazione: tutti gli animali contavano una discendenza all’infuori del loro nucleo familiare.

Era l’amara constatazione di ogni giorno, a giaculatoria, purtroppo! Un giorno Sua maestà, nel mezzo delle sue lacrime, confidò il desiderio delle più improbabili tra le maternità, pur di avere tra le braccia un pargoletto: persino una serpicella sarebbe andata bene, non avrebbe fatto la differenza, assolutamente no!

Il cielo sembrò ascoltarla e, dopo una gravidanza non del tutto facile, mise alla luce un figlio serpente: del resto, era stata lei a volerlo! Ad attenderlo, poi, non fu una culla come tutti i suoi pari, ma una bella gabbia di ferro ove fu posto al riparo dagli altri. Come fu di seguito il loro quotidiano?

Una cameriera gli portava sempre da mangiare tutto quello che mangiavano loro – la zuppa di latte la mattina e gli altri piatti a mezzogiorno e la sera.  Successivamente, fattosi grandicello, iniziò ad incalzare minaccioso con richieste sempre più nette e precise:

«Cara mamma e caro papà,

bella e ricca la moglie voglio qua»

La supplica fu evasa, ritenuta innocente nella sua formulazione: di primo acchito accettò la figlia del mezzadro di fiducia, che decise di convolare a nozze con il Principe serpentino. E qui cominciarono i guai: malgrado il rampollo reale avesse assunto le sembianze umane, in quel contatto notturno, non poté fare a meno di conservare la sua bestialità. Sapendola figlia di contadino, in un interrogatorio convulso e vorticoso che lasciò la poveretta financo interdetta, la decapitò all’istante.

Da qui la solita tiritera che si sarebbe voluto sposare nuovamente, ma stavolta con una più degna della sua regale persona: i genitori, per converso, gli proposero la seconda ed ultima figlia di quell’agricoltore ed una figlia del ciabattino. Entrambe fecero la fine di Giovanni Battista, mentre lui continuava a smaniare e a rincarare la posta: «come dico io e basta». Per evitare una strage di innocenti, la figlia di un imperatore confinante decise di sfidare questa Bestia, sicura che l’amore lo avrebbe ammansito e salvato. La sera stessa fu celebrato il rito nuziale: ci furono musiche, balli e divertimenti e si suonò ininterrottamente fino al giorno successivo. Il Principe si tramutava in carne ed ossa solo di notte, mentre di giorno si raccoglieva nelle spire ed avvolgimenti di un rettile.

Il maleficio di cotanta disumanità consisteva in questo, praticamente!

«Se vuoi che diventi “uomo” per tutta la giornata, devi fare una cosa, mogliettina mia!», si permise di dirle. La risposta della consorte fu di totale accondiscendenza: avrebbe fatto qualunque cosa, pur di dargli la merita serenità che la sua dolce metà agognava su questa misera terra. «I miei presto organizzeranno un festeggiamento a corte: non accettare alcun invito a ballo, perché verrò a prenderti io e a strapparti al palazzo all’improvviso».

E così fu. In mezzo ai convitati si presentò nelle vesti di un uccellaccio, rapendola davanti alla vista di tutti: non si dimostrò un ratto d’amore sin dall’inizio, tra quegli artigli che null’altro facevano che dilaniarle il suo corpo in volo. Beccata negli occhi e sfregiata negli arti, che amaro destino!

Eppure aveva gridato alla gioia, vedendoselo arrivare, seppur in forme diverse. Si sarebbe accontentata di toccare il cielo con un dito, aggrappata sempre a lui, pacificata con tutto il mondo, secondo le leggi dell’eros: la sua condizione, in quel momento, purtroppo, incassò un’amarezza senza fine.

Una vecchierella si apprestò ad aiutarla fortunatamente: non una qualunque, ma una Madonnina, di quelle che si vedono nelle nicchie esterne del nostro Sud, per giunta solcata da quelle stesse lesioni, che il tempo stampa sulle nostre statuine. Fu lei a lavarla ai piedi di una fontanella, restituendole la vista e curando ogni sorta di ferita. Non solo. Prima di congedarsi, le porse una verga, dicendole: «Comanda questa bacchetta e avrai tutto quello che vuoi».

Ed ecco che lei ordinò un bel palazzo, tutto fatto di brillanti, dentro e fuori. All’interno, una chioccia con i pulcini d’oro, che giravano per le stanze: c’erano pure domestici e portinai, mentre lei se ne stava bell’e seduta, coperta da sontuosissimi vestiti. Il Principe serpentino, vedendosi comparire questa costruzione maestosa di fronte alla sua dimora reale, rimase sbigottito.

Non esitò, all’immediato, a dimostrarle una pacifica cortesia di vicinato: tramite una sua cameriera fece recapitare alla proprietaria di quel regno viciniore un canovaccio dorato, che fu immediatamente gettato agli animali del cortile, senza essere rispedito al mittente. Armatosi di coraggio, decise, a quel punto, di parlarle di persona, per comprendere le ragioni di quell’esplicita offesa. Gli si accapponò la pelle nel riconoscere sua moglie, appena ebbe modo di incrociarle il viso: un groppone alla gola non gli permise di proferire alcuna parola.

Viceversa, gli parve più semplice genuflettersi e chiederle perdono: un sortilegio lo aveva costretto a disfarsi delle donne incontrate per ritrovare un’umanità, su cui eccedente era percepito, in ogni frangente, il peso di una colpevolezza irredimibile. Lei, vinta e avvinta da quelle lacrime di sincerità, si lasciò andare verso di lui, sentendo, dentro di sé, che quella bestialità fosse venuta finalmente al termine. Non si sarebbe prodigato il Cielo a sanare la sua storia, ne era fermamente convinta!

E così i due, abbracciatisi, si lasciarono cadere dietro le spalle quanto loro accaduto, per vivere serenamente il resto dei loro giorni, felici e contenti.

PS: Regalando una fiaba bruzia in tempi di lockdown…

Prof. Francesco Polopoli

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