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Un monastero per ricordarci che valiamo per ciò che siamo

4 min di lettura

Quando tutte le parole sai che non ti servon più quando sudi il tuo coraggio per non startene laggiù quando tiri in mezzo Dio o il destino o chissà che che nessuno se lo spiega perché sia successo a te…

valiamo per ciò che siamoQuando accadono nella vita di ognuno quelle dinamiche ben descritte da Ligabue nella sua canzone, allora non ci resta che alzare gli occhi verso un luogo dove cielo e terra si sono incontrati e continuano da secoli a dialogar. Quel luogo è la Querciuola, a Conflenti.
Le riflessioni del Vescovo di Lamezia Terme Luigi Cantafora, nella Santa Messa che ha preceduto l’inaugurazione del monastero di Santa Maria delle Grazie e della Misericordia e l’ingresso in clausura di un gruppo di 6 sorelle povere di Santa Chiara, sono motivo di riflessione per tutti: “Questo monastero ci ricorda che la vita non è fatta solo di progetti, di industria, ma è fatta anzitutto di interiorità, che c’è un essere prima del fare, c’è la consapevolezza che non siamo soli ma c’è Qualcuno che ci ama. Con la clausura voi scegliete di separarvi da tutto ciò che è mondano per dedicarvi a Dio solo ma, allo stesso tempo, voi non vi estraniate dalla storia, anzi la assumete nel vostro cuore.
Di questo tutti noi abbiamo bisogno
”.
Riflettere sulla scelta di giovani suore provenienti dal Brasile, alcune delle quali molto giovani, alcune provenienti da studi in medicina e magari destinate a ben altre carriere, tocca la dimensione intima di ciascuno e al tempo stesso ha a che fare con gli interrogativi dell’uomo di ogni tempo, con il “dramma etico” della società in cui viviamo. Anche della nostra Lamezia, della nostra Calabria.
Un po’ come il grande inquisitore di Dostoevskij, che si domandava se potesse competere “agli occhi dell’eternamente viziosa ed eternamente indegna razza umana” il pane celeste con quello terreno, il sentire comune si domanda: ha senso nel 2017 un monastero di vita contemplativa?
La Calabria delle povertà, della disoccupazione giovanile, dell’emigrazione delle nuove generazioni, ha davvero bisogno di otto suore tutte dedite alla preghiera, alla meditazione e alla vita fraterna?
Chi liquida come banali o populisti questi interrogativi ripete la stessa banalità di chi risponde subito con i paraocchi: “no, non ne ha bisogno. Vogliamo pane e lavoro”.
Perché sono interrogativi che richiedono una domanda preliminare: perchè e come siamo arrivati a questo punto? Chiede di interrogarci su un’umanità, personale e collettiva, affamata di parole, sudata per le fatiche, appiattita sui dati di fatto. Come quella descritta nelle parole della canzone di Ligabue.
Il monastero sta lì per ricordarci che l’essere vale più del fare. O meglio: che valiamo per ciò che siamo non per quanto rendicontiamo a fine anno, per i progetti che siamo capaci di mettere in campo, per i numeri, le cifre e i dati che vorremmo fossero sufficienti a racchiudere il senso dell’esistenza.
Il monastero medicina per una società, e anche una Calabria, appiattita sulla logica dei risultati e dei dati fatto.
Il monastero, ciò che esso rappresenta per tutti, credenti e non, non è evasione dalla realtà ma richiama il senso stesso della dignità dell’uomo.
A cominciare dall’uomo più fragile, l’uomo che non è in grado di rendicontare e portare risultati, a cui viene riconosciuta come a tutti la dignità di poter guardare in alto nella consapevolezza di essere amato.
Ma anche a chi ha la possibilità di svolgere una vita attiva, il monastero richiama due questioni cruciali dell’esistenza: che la vita non si esaurisce nella logica “aziendale” dei risultati; che anche i risultati positivi devono portare l’impronta di un essere di cui il fare è solo strumento, una sostanza di pensiero e valori senza la quale vi è il vuoto della vanagloria dei successi passeggeri. E questo vale per tutti.
Vale in una terra come la Calabria che, proprio perché “ultima”, tenta tante volte in maniera goffa di “gonfiarsi” di presunzione e orgoglio, come i ragazzi più fragili che a scuola tentano di imitare i bulli. Peggiorando la loro situazione.
Nel ricordino, distribuito al termine delle celebrazione, le sorelle Clarisse del monastero di Conflenti hanno scritto: “in ogni necessità alza gli occhi verso il monte e ricorda che ci siamo noi a pregare per te”.
E noi, guardando alla Querciuola, ci ricorderemo che valiamo per ciò che siamo, del valore e della dignità di ogni uomo a cui nessuno potrà mai togliere la possibilità di guardare verso l’Alto.

Salvatore D’Elia

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