Un’opera, due universi creativi
4 min di letturaAntonio Saladino, Cesare Berlingeri: uno straordinario omaggio di un artista ad un altro artista che riesce a condensare e a coniugare nella dimensione dell’opera l’essenza di due percorsi di ricerca
Il più delle volte i critici propongono eventi, li costruiscono, li divulgano
Non sempre però. In questo caso sono stata testimone e ne scrivo, evidenziandone la dimensione valoriale umana oltre che, naturalmente, artistica. Andiamo per ordine. Antonio Saladino, noto scultore e fine ceramista, durante il lockdown, ha incrementato la sua produzione, implementando di nuovi accordi formali e linguistici il suo lessico, ma non pago ha rivolto la sua attenzione al lavoro creativo di un altro importante artista corregionale: Cesare Berlingeri, conosciuto per la sua ricerca linguistica caratterizzata dall’invenzione concettuale delle piegazioni.
Nella sua pittura piegata ogni suo singolo atto creativo declina il mistero nella ripetizione delle pieghe, che promettono di schiudersi senza mai farlo completamente, ad infinitum. Saladino, affascinato dalla sua ricerca, ne esplora la densità e la bellezza delle opere, attratto dalle tele imbevute di colore, piegate più e più volte, dalle sue forme al confine tra pittura e scultura. Le sue pieghe, la loro plasticità corporea vibrante di interna energia, lo ammaliano come elementi vivi di un linguaggio con cui confrontarsi in un dialogo a distanza tra due universi creativi: il suo e quello di Cesare.
Così dà inizio ad una preziosa commistione di alfabeti: le sue forme mutili che evocano stratificazioni archeologiche affioranti dalle profondità del tempo storico incontrano le vibrazioni di materia cromatica nell’alternarsi delle pieghe. Nasce così uno straordinario omaggio di un artista ad un altro artista, un’opera che condensa l’essenza dei due percorsi: l’opera modellata da Saladino, nel suo spessore sostanziale di sagoma, accoglie una piegatura di Berlingeri realizzata in bassorilievo.
La tela piegata “Troppa luce per Vincent”, accesa di giallo, replicata nelle definizioni plastiche del rilievo basso, ruotata di un quarto in senso antiorario rispetto all’originale, occupa la spazialità del suo torso scultoreo in una germinazione di valori linguistici nuovi, in una filiazione di significati che travalicano il puro accadimento visivo, fertili di accordi ritmici in cui si gioca il destino dialogico dell’opera.
Non sfugge all’attenzione che l’opera originale di Berlingeri è essa stessa omaggio evocativo a Van Gogh, alla sua esistenza d’arte, cui mette fine nel giallo abbacinante di un campo di grano; quindi, un’ opera che, a sua volta, si offre come prodigo momento sorgivo per altri incontri nei territori dell’arte. Il gesto creativo di Saladino plasma la materia, la duttile creta, modula, per risalti successivi, le pieghe, fino al graduale emergere dal piano di un’opera perfettamente leggibile, riprodotta nella lievità delle forme piegate, nella pienezza del colore. Pur nella fissità della materia scultorea, Saladino traduce l’essenza mutevole di un “universo in movimento”, quello di Berlingeri, in cui la geometria delle pieghe si sviluppa nella ripetizione differente, nel tessuto poetico della variazione.
Ora, nell’alternarsi di pieni e di vuoti, di tenui dislivelli, la sostanza creativa rivela nuovi elementi sintattici costitutivi in cui si dispiegano partiture segniche che dicono dell’universo artistico di entrambi.
Concluso il processo di elaborazione dell’opera, il momento più intenso diventa la sua consegna a Cesare Berlingeri.
E lì, come critico, sono testimone di un incontro-scambio in cui i due artisti si raffrontano sui valori formali e comunicativi dell’opera, diventata luogo di confluenza tra repertori stilistici differenti, delineando segni e concetti all’origine di un’insolita ibridazione che ha messo in campo valori umani fondamentali, in un omaggio che va ben al di là dell’opera stessa. In un periodo sociale drammatico, in cui la distanza è diventata elemento basilare di tutela della salute, i due artisti hanno ritrovato l’essenza generativa dell’opera come dimora di bellezza condivisa, in cui l’arte è valore salvifico che coniuga avvicinamento e compenetrazione spirituale. Non è poco!