Un Ranieri… al Massimo
5 min di letturaLamezia Terme, 16 febbraio 2017. In scena, al Teatro Comunale Grandinetti, per la Stagione di Teatro 2016.2017 organizzata da AMA Calabria con il patrocinio dell’Amministrazione Comunale, lo spettacolo Teatro del Porto commedia musicale su versi, prosa e musica di Raffaele Viviani con Massimo Ranieri e una compagnia di 8 attori/cantanti/ballerini, tutti bravissimi, accompagnati da un’orchestra di 6 elementi per la regia di Maurizio Scaparro.
Un “teatro nel teatro”, una scena nuda impreziosita via via da fondali dipinti o da un sapiente gioco di luci, una fisarmonica e un violino che accompagnano un tango a tre dove il dialogo silenzioso si svolge tra corpi in perfetta sintonia di intenti… Ma è solo l’incipit, la coralità vivianea si impone ex abrupto. Tutta la compagnia viene chiamata a raccolta sul palco per conferire con il direttore Don Rafele (Viviani, naturalmente) interpretato da un Massimo Ranieri gran mattatore in particolare stato di grazia. Qui, l’espediente della metateatralità serve a mostrarci gli uomini prima che gli attori. La realtà (della scena) prima della rappresentazione e la vita quotidiana con i suoi problemi da risolvere (una sorella incinta, i genitori anziani…) prima della partenza per una tournée in Sud America con il transatlantico Duilio. E poi c’è sempre e ancora la denuncia della fame. “Carne” che bella parola, esclama uno degli attori pensando all’Argentina come terra di manzi e di tangheri!
Questo viaggio rappresenta per tutti una sorta di pausa dalla “fatica e dalla miseria dell’attore” in quel dato momento storico. “Caso mai qualcuno dovesse chiamarvi emigranti” li ammonisce Don Rafele “rispondete: – Abbiate rispetto per gli emigranti veri, quelli che vanno su e giù per il mare. Noi siamo ambasciatori. Portiamo il nostro mondo nel vostro mondo…”
E qual è questo mondo? L’arte del varietà. Quella forma di intelligenza condensata che la rigorosa regia di Maurizio Scaparro risolve attraverso una minuziosa orchestrazione di tante piccole situazioni, emozioni, sentimenti, cose dette e cantate avendo cura di saper dosare le battute per ciascun personaggio.
A Ranieri, superbo interprete – tra le tante – di una canzone-poemetto a guisa di lunga tirata con una struttura ritmico-metrica da filastrocca-scioglilingua, si alternano di volta in volta le interpretazioni di Ernesto Lama, Angela De Matteo, Gaia Bassi, Roberto Bani, Mario Zinno, Ivano Schiavi, Antonio Speranza, Francesca Ciardiello accompagnati dal vivo dall’orchestra composta da Ciro Casino (pianoforte), Luigi Sigillo (contrabbasso), Donato Sensini (fiati), Sandro Tumolillo (violino), Giuseppe Fiscale (tromba), Mario Zinno (batteria).
Tuttavia, al di là della cornice da Grand Varieté con gli sketch comici, il gagà “Rino” , la sciantosa “Legery” e i balletti, quello che più colpisce dell’arte vivianea è quella “specialissima fauna umana” fatta di creature vive e non letterarie, quella personalissima concezione della vita che non è né umile né rassegnata ma cosciente e disperata.
Le sue creature sono rappresentate nella loro realtà individuata e analizzata criticamente. Lo scugnizzo, il guappo, lo straccivendolo, il carcerato, il mariuolo… così le sue figure notturne di prostitute e donne sole.
Un teatro, quello di Viviani, fatto di suoni, di voci e di canti. Nessun intreccio, intrigo o coup de théâtre.
È dunque nel canto dolente degli ultimi, degli emarginati che si compie e si risolve il nucleo drammatico (ma anche ironico) dell’azione scenica con un linguaggio aspro e a volte feroce, intessuto di vocaboli e suoni antichi e moderni ma ricco di suggestioni proprio in virtù di questo processo di contaminazione mentre le battute sono caratterizzate da una vivacità linguistica e da un tenore espressionistico determinato dall’uso frequente di interiezioni e di epiteti che confermano l’indiscutibile propensione dell’autore all’oralità vernacolare. Come ausilio alla comprensione, una lavagna luminosa con sottotitoli in lingua italiana.
Così Bammenella ‘e coppa ‘e quartieri, storia di una prostituta che mantiene un uomo. Un “capoguaglione bello”, che la fa rispettare. E poco importa se tutte le sere lui “la uccide di mazzate”. Bammenella ne è certa: “me vò’ nu bene sfrenato, ma nun ‘o ddá a paré’…”
E ancora Canzone ‘e sotto ‘o carcere, una “fronna” ovvero quel particolare modo di comunicare che i parenti avevano con i carcerati per passar loro informazioni “Ferdina’, fa’ azzitta’ ‘o cammarone/ e rifliette ‘a canzone. / Grazziella sta ccà…”
Mentre alle strofe di ‘O guappo ‘nnammurato sono affidate le pene d’amore di questo Don Giovanni in salsa partenopea che si è perdutamente innamorato di una donna tanto bella quanto crudele la quale non ha alcuna pietà per i sentimenti del suo devoto spasimante. Mm’hê ‘ncarugnuto cu chist’uocchie belle, / mm’hê fatto addeventá nu vile ‘e core,/ n’ommo ‘e lignammo. Nun só’ cchiù Tatore, / ‘o mastuggiorgio ‘e vasci’â Sanitá! / Nun só’ cchiù io, mannaggi”a libbertá! E così, sminuito e ridotto ad uno zimbello da parte della gentil donzella, il malavitoso minaccia di farle seriamente del male se lei non addiverrà a più miti consigli.
Accanto alle poesie ci sono i versi di Viviani come quelli di Voce, sceta a Maria che esibisce uno schema compositivo semplice, proprio del lessico popolare. ‘O sapunariello, lo straccivendolo che lamenta la sua miseria perché esposto alle intemperie “stracco e strutto, annudo e muorto ‘e famma”. Dolente e struggente è il grido di disperazione di Scurdato ‘n terra a ll’isola, dove un uomo, costretto all’esilio coatto, passa le ore a pensare alla sua famiglia e alle persone care.
‘O carro d’ ‘e ‘mpechere è invece l’esaltazione della matrice corale e popolare dove le tre “impiccione” rappresentano un inno alla gioia.
Mentre il tema dell’emigrazione, dell’allontanamento dai propri luoghi e dai propri affetti, della partenza per necessità si ritrova nei canti Questa è la nave e Lascio il mio paese.
La scena e i bellissimi costumi portano la firma di Lorenzo Cutùli, il rigoroso disegno luci è di Maurizio Fabretti, le elaborazioni musicali sono di Pasquale Scialò, i movimenti coreografici di Giorgio De Bortoli.
Teatro gremito. Trionfo meritato.
Giovanna Villella
[foto di scena Ennio Stranieri]