Bernardo Bertolucci: un ricordo
3 min di letturaTriste e strana la vita (e la morte) per chi vive e si nutre di cinema: si sono spenti a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro due autori enormi, Nicholas Roeg e Bernardo Bertolucci. Entrambi cavalcavano i generi, entrambi hanno cambiato la grammatica del cinema: ma non per tutti e due c’è stato lo stesso impatto sui social e nella comunicazione. Anche considerando che non tutti quelli che oggi piangono il regista di Novecento avessero visto anche un solo suo film.
Bernardo Bertolucci, un autore come pochi che si è imposto all’interno della storia del cinema italiano, diventando una delle figure più importanti della settima arte. Nato e cresciuto nell’arte (il padre era un poeta e critico letterario) iniziò subito la sua carriera con Pierpaolo Pasolini nel 1961 fu il suo assistente per Accattone.
Esordisce poi dietro la macchina da presa con La Commare Secca, ma è impossibile racchiuderne il percorso in pochi titoli, così come sarebbe ingiusto preferirne alcuni ad altri. Se ci siamo già occupati di Ultimo Tango a Parigi, diamo allora uno sguardo a qualche film meno noto ma non per questo meno intenso.
I film di Bertolucci hanno spaziato dal dramma generazionale alla parabola politica, intimità e sociale: ma soprattutto, il suo cinema ha saputo varcare i confini e creare assonanze e collisioni, interrogandosi sempre e comunque su sé stesso e sulla sua capacità e modalità di rappresentare la realtà.
La Tragedia Di Un Uomo Ridicolo è forse l’esempio più fulgido di come la premessa teorica di sopra si possa collegare all’ambiguità di fondo che striscia sempre nella filmografia del regista parmense.
Il titolo, prima di tutto, riecheggia problematiche pirandelliane: l’assurdità della vita su tutto, ma anche quelle contraddizioni che sfuggono alla nostra comprensione. Il film interpretato da Ugo Tognazzi, Victor Cavallo e Laura Morante non è, come però potrebbe sembrare a prima vista, il “solito” film di impegno sociale e politico: tutto parte dal rapimento di Giovanni, figlio del proprietario di un caseificio, seguendone poi le indagini. Gli indizi si fanno però via via sempre più allucinati: tanto alla fine che ci si aggrapperà all’aiuto di una chiromante. Bertolucci restituisce quindi un’opera enigmatica, frammentaria, apparentemente distante e forse incompleta: ma è proprio qua la forza del film, quel suo essere apertamente irrisolto e nel chiedere quindi l’interazione dello spettatore.
L’ultimo film è stato, invece, Io & Te, tratto da Ammaniti. Come nel suo film immediatamente precedente, The Dreamers, Bertolucci decide di far coincidere il suo sguardo con quello dei giovanissimi protagonisti: tornando quindi facilmente ad uno dei suoi temi preferiti, l’irruzione di un elemento esterno che mette in discussione uno status quo imponendo una revisione totale di ciò che si riteneva acquisito, o l’esplosione di quello che era stato precedentemente accuratamente sepolto sotto le false ipocrisie quotidiane o i necessari auto convincimenti. È come se allora il regista, nel suo “testamento spirituale”, prendesse le distanze da certo suo cinema fin troppo avviluppato su sé stesso per riaffermare la necessità di guardare più approfonditamente nel mondo dei giovani, in costante richiesta di aiuto.
Valentina Arichetta