Un telegramma pre-elettorale dell’antichità
4 min readCICERO BASILO SAL
Tibi gratulor, mihi gaudeo; te amo, tua tueor; a te amari et, quid agas quidque agatur, certior fieri volo.
Trad.: CICERONE A BASILO
Mi rallegro con te e mi compiaccio con me stesso. Ho affetto per te e prendo a cuore le tue cose. Ricambia questo mio sentimento e tienimi informato, attraverso la tua opera, su quanto succederà.
Siamo in un clima di incertezze dopo le idi di Marzo: i veleni dell’interregno, come al solito, li paga il popolo di Roma, e non è una novità questa, da che mondo è mondo, mentre i papabili alla conduzione dello Stato si sono fatti nuovamente tre. Un nuovo mostro tricefalo, a tre teste, per l’oratore, resta poco da dire al riguardo!
Il solito triumvirato a larghe intese, insomma: inciuci che per noi sono un abitué di ordinaria amministrazione! Mentre nella camera dei bottoni Ottaviano, Antonio e Lepido decidono le sorti del tutto, le guerre civili stanno alle porte.
Uno Stato allo sfascio dal malessere sociale sempre più incalzato, mantenendo del verbo, però, la liquida laterale, senza raddoppiare volutamente l’ultima consonante, per non sconfinare nel triviale.
Ed oggi, cosa potrebbe dirci ancora lui, dall’alto dei suoi consigli, e magari da opinionista, prima delle prossime elezioni di marzo?
Beh, intanto rimarrebbe colpito per la sopravvivenza di termini latineggianti nel nostro costume politico: Mattarellum, Tatarellum, Mastellum, Rosatellum, Porcellum, Mordadellum, Toscanellum, Pidiellum, Pasticcettum, Italicum; magnum gaudium, inizialmente, per la sopravvivenza del suo codice linguistico in riuso, ma che si tinge subito d’amarezza, perché sa, da uomo ormai vecchio di storie, il lavoro di ogni Azzeccagarbugli.
Uno spettacolo carnascialesco in stile maccheronico, né più e né meno: e a conti fatti, senza fare tante operazioni di aritmetica!
Ai triumviri di questo 2018, Berlusconi, Di Maio e Renzi, farebbe piuttosto un discorsetto da De officiis, affinché uno di loro possa essere uno di noi, possibilmente più Premier e meno conduttore televisivo: ha un certo fastidio, lui, lo abbiamo capito, malgrado sia social quanto loro!!
Omnino qui rei publicae praefuturi sunt duo Platonis praecepta teneant: unum, ut utilitatem civium sic tueantur, ut quaecumque agunt, ad eam referant obliti commodorum suorum, alterum, ut totum corpus rei publicae curent, ne, dum partem aliquam tuentur, reliquas deserant.
Trad.: In generale, quelli che si dispongono a governare lo Stato, tengano ben presenti questi due precetti di Platone: primo, curare l’utile dei cittadini in modo da adeguare ad esso ogni loro azione, dimentichi e incuranti dei propri interessi; secondo, provvedere a tutto l’organismo dello Stato, affinché, mentre ne curano una parte, non abbiano a trascurare le altre (I, 85).
Last but not least, raccomanderebbe la solidarietà come cura della precarietà: il forestiero, al di là di quanto grida qualcuno, senza salvare l’insalvabile di Salvini, a costo di essere sopraggiunto nuovamente dai sicari, viene da molto lontano, per incardinarsi successivamente nella nostra genealogia: siamo o non siamo figli di un dio minore?
Da discendenti di Enea non possiamo, appunto, desacralizzare la nostra stirpe con atteggiamenti di rifiuto ed ostilità: è un pegno antico che richiede, in eredità spirituale, un impegno di tolleranza, e lui ce lo ricorderebbe, impugnando la tessera hospitalis, che era un contrassegno spezzato in due parti a sigillo di amicizia fra una famiglia romana ed una straniera, oltre che contromarca concreta del patto di ospitalità e delle condizioni che lo regolano.
È proprio questa possibilità di mediare e calibrare l’ospitalità che sembra mancare alle politiche dell’accoglienza di oggi, che riducono tutto a percentuali e quote, muri e lasciapassare, centri di identificazione e libertà coatte, false generalità e respingimenti, senza coinvolgere e responsabilizzare chi arriva e far sentire tutelato chi accoglie.
Ecco perché l’immigrazione è diventato il cavallo di Troia del continente (Marino Niola): un nemico dentro le mura, da stanare necessariamente, a tutela della nostra sopravvivenza: roba da far venire i bordoni!
Lingue di fuoco, come quelle di Ulisse e Diomede del canto dantesco, come querimonia di un mondo demitizzato, orfano di favole antiche: e sono tante in giro e fuori luogo!
Sia dato spazio di più al mito, e meno al giallo, per non ingiallire nel livore limbico, che nulla ha della dignità neocorticale di un Homo sapiens. La Cura è un bisillabo di attenzione che non costa tanto, nel modo più assoluto!
Prof. Francesco Polopoli