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Uniter, l’anno accademico si chiude tra letteratura e dialetto

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Dal dialetto popolare al dialetto letterario



Comunicato Stampa:

Il passaggio dal dialetto popolare al dialetto letterario è stato l’argomento che ha chiuso l’Anno Accademico dell’Uniter di Lamezia Terme, presieduta da Italo Leone, indagato egregiamente dal presidente dell’Associazione Culturale “La Lanterna” di Maida Leo Greto Ciriaco soprattutto attraverso la disamina del libro “Sonetti per Mastru Pàvulu” di Antonio Araco.

Dopo una breve introduzione da parte della vicepresidente dell’Uniter Costanza Falvo D’Urso, il presidente Ciriaco è risalito alla genesi della poesia in dialetto maidese di Araco, ripercorrendo le fasi più salienti della vita del poeta, nato a Pallagorio, un comune di 1300 abitanti di origine italo–albanese e i luoghi frequentati nel suo girovagare dalla Calabria a Roma.
Dall’analisi di questo percorso è emerso che il poeta, fin da piccolo, riesce ad assorbire i suoni e il lessico della lingua albanese, dei dialetti dei siti, da lui abitati, tra cui Perticaro, dove risiedevano i suoi nonni di Crotone, dove si era trasferito il padre Domenico. Ben presto le vicissitudini della vita costringono la famiglia del poeta a trasferirsi a Roma dove Araco studia Scienze Biologiche ma nel contempo si nutre della poesia di grandi poeti romaneschi come Gioacchino Belli, Cesare Pascarella Trilussa mantenendo sempre la sua complessa identità linguistica rafforzata dal suo matrimonio con la signora calabrese Irma che porta lo stesso suo cognome. Trasferitosi a Maida, Araco compone per il suocero novantasettenne una silloge di 40 sonetti, intitolata “Per Mastru Pàvulu”, nella quale racconta un passato comune a tante generazioni a prescindere dalla collocazione geografica e le interessanti esperienze dell’anziano Pàvulu, che aveva viaggiato molto per il mondo.  L’opuscolo, stampato a Lamezia nel 2002, rappresenta un punto di svolta per l’approfondimento dello studio del dialetto.

«Se il dialetto – ha precisato il professore Ciriaco – è una lingua, questa deve avere delle regole da individuare e trascrivere e tutti i suoni debbono avere una trascrizione scientifica, anzi bisogna uniformare la grafia dei fonos e il grafos per rendere più facile e comprensibile la scrittura».

Il presidente dell’Uniter Italo Leone, che ha inserito Antonio Araco nella sua monumentale opera “Cultura e Letteratura Lametina”, che comprende 80 prestigiosi lametini, ha apprezzato il dialetto maidese di Araco che si erge a «dialetto letterario in quanto si allinea alla sintassi, alla lingua regionale, seleziona i vocaboli e gli argomenti inquadrandoli in una visione globale e decisamente più alta rispetto a quella popolare».

A dare voce alle liriche di Araco è stata la dodicenne maidese Nicoletta Giglio che ha interpretato il 26° canto dell’Inferno di Dante, tratto dalla Cantica “‘U ‘mpiarnu”, tradotta da Araco in dialetto maidese, e alcune poesie che rappresentano maggiormente non solo la lingua dialettale maidese ma anche usi e consuetudini del tempo come “I medicini”, “A partita e carti”, “‘U miraculu”.  Antonio Araco è autore di scritti, editi e inediti, nei tre dialetti calabresi ed anche in romanesco, oltre che del libro “Parrata majidise, grammatica e vocabolario del dialetto di Maida”.

Lina Latelli Nucifero

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