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Uniter Lamezia, “Il terzo tempo” di Lidia Ravera apre 29esimo anno accademico

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Lidia Ravera-LameziaTermeit

Lidia Ravera, Italo Leone, Costanza Falvo D'Urso

Presentato “Il terzo tempo” della scrittrice Lidia Ravera

LAMEZIA. “Il problema della vecchiaia sono i cliché”. È stata la giornalista e scrittrice torinese Lidia Ravera ad inaugurare il 29esimo anno accademico dell’Uniter, l’Università della terza età e del tempo libero di Lamezia Terme.

Raggiunta la notorietà nel ‘76 con il romanzo da due milioni di copie Porci con le ali, scritto a quattro mani insieme allo psichiatra Marco Lombardo Radice, dal marzo 2013 la Ravera è assessore alla cultura, allo sport e alle politiche giovanili nella Regione Lazio guidata dal presidente Nicola Zingaretti, anche se durante la presentazione rilancia, con la verve e la schiettezza che la contraddistinguono, la sua originale idea di un piano per le “politiche senili”.

“Mi piace chi non smette mai di studiare, di imparare, di cambiare, di rischiare, di avventurarsi perché non c’è una scadenza” , ci dice Lidia Ravera non appena prende la parola.

Una carriera brillante segnata da molti successi editoriali, collaboratrice delle più importanti testate nazionali, autrice di almeno 30 testi di successo, la giornalista pone una particolare attenzione alla realtà contemporanea, frutto anche della sua personale esperienza da sessantottina, periodo durante il quale Lidia Ravera si è fortemente battuta portando avanti importanti battaglie per l’emancipazione delle donne.

Il terzo tempo è però il protagonista della serata, il libro presentato dall’autrice va a chiudere una sorta di “trilogia della vecchiaia” iniziata con Piangi pure, del 2013, seguito da Gli scaduti, del 2015.

Intrigante, indiscreto e talvolta sfacciato questo romanzo della Rivera, dedicato all’invecchiamento, al trascorrere del tempo, un testo che insegna ad invecchiare con stile e ad essere capaci di rinnovare la propria vita rivoluzionandola. Il terzo tempo bisogna viverlo pienamente, senza mai smettere di cercare la felicità.

Riferimento questo alla terminologia tipica delle partite di rugby, “terzo tempo” è quando le due squadre hanno finito di giocare ed hanno l’abitudine di riunirsi, di passare dei momenti spensierati, per socializzare e per vivere insieme con spirito conviviale.

Costanza è la protagonista del suo “terzo tempo”, donna originale e stravagante, sessantaquattrenne convinta che la vita vada vissuta appieno e fino alla fine, tanto che quando eredita dal padre un austero ex convento a Civita di Bagnoregio si lascia prendere da un progetto quasi folle: radunarvi i cinque compagni con cui da giovanissima ha condiviso a Milano la vita e l’impegno politico, per ricreare una comune, ma anche una sorta di famiglia allargata con cui poter spartire gli affanni e discutere del futuro invecchiando in gruppo.

La trama del romanzo si arricchisce così di storie anche imprevedibili, di personaggi con esistenze e profili sempre diversi, in equilibrio tra delusioni e speranze. Tutto questo magistralmente legato da un filo conduttore che crea armonia e coerenza narrativa anche quando nel testo la scrittrice cambia abilmente punto di vista, lasciando per un momento da parte la “nostra” Costanza.

“La vecchiaia è una conquista, è un tempo residuale portatore di meraviglia perché da lì non sai cosa succederà, perché gli atti necessari che riassumono una vita li hai già fatti tutti e da lì in avanti puoi finalmente inventare. Costanza sa farlo”.

La protagonista ben incarna anche alcune sfaccettature della vita stessa dell’autrice, un richiamo autobiografico che si legge fra le righe del romanzo e che la stessa Ravera ammette durante la serata, proprio a partire dal suo gruppo di femministe nel ’68, che spesso hanno combattuto contro il disagio di essere donna in quel tempo e a quell’età.

Non senza amarezza si chiede però come mai del silenzio delle femministe di oggi, “perché tacciono? Io non credo sia diventato semplice invecchiare per le donne, che spesso finiscono per ricorrere alla chirurgia. Il disprezzo di cui godono le donne non più giovani, è un disprezzo diffuso e palpabile che non coinvolge gli uomini. Infatti loro invecchiano più serenamente, nessuno chiede loro di avere 23 anni tutta la vita”.

E continua, “più si vive a lungo e più si vive meglio. Con la vecchiaia si imparano tante cose. Io ho imparato a scrivere. Se si confronta questo romanzo e “Porci con le ali” – afferma la giornalista – vi è un abisso, ci sono quarant’anni di lavoro alla ricerca del nome giusto, del verbo, dell’aggettivo, del senso della frase e così via. Sembrano due persone diverse, ma rispetto alla scrittrice che sta dietro a questo libro c’è tutta la vita”.

“Ho smesso di interrogarmi se sono un genio o no – conclude -, la cosa di cui sono sicura è che i miei romanzi sono come una stampella. Sono uno strumento esistenziale che aiutano a vivere”.

Valentina Dattilo

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