Usi e costumi locali: l’arte dei pignatari di Nicastro
3 min di letturaI pignatari di Nicastro. Pochi sono ancora gli studi incentrati su una fetta dell’artigianato locale che nel corso dei secoli ha caratterizzato un settore produttivo ormai quasi completamente dimenticato
La Calabria vanta una cospicua produzione di ceramiche già attiva in epoca preistorica, grazie soprattutto ai numerosi affioramenti di argilla che ben si prestavano alla realizzazione di utensili di uso quotidiano, prima, e di ceramiche decorative poi.
Nel territorio della piana di Lamezia Terme tali testimonianze sono riscontrabili tra le sale del Museo archeologico Lametino: le sale preistoriche, per iniziare, presentano numerosi frammenti ceramici provenienti dalle grotte che padroneggiano sulla località di Caronte, per esempio. Tra le più note, da menzionare sicuramente, è la Grotta delle manichelle, così denominata perché ha restituito un grosso quantitativo di anse, alcune delle quali oggi esposte tra le vetrine del museo.
Anche il periodo magnogreco ha consegnato ai posteri vasellame di differente tipologia e con destinazione d’uso varia; sicuramente la più imponente è l’Hydria di Cerzeto, della quale si ipotizza la produzione locale: solo indagini diagnostiche specifiche potrebbero fugare ogni dubbio escludendo la possibile origine extra-regionale. Anche la presenza di una imponente sepoltura in lastre di terracotta, oggetto di un restauro poco scientifico, manifesta la presenza in periodo magnogreco.
Nella sala medievale, di tutta risposta, sono presenti i frammenti di ceramiche rustiche, sigillate, invetriate, graffite, ingobbiate e maiolicate provenienti dall’abbazia benedettina di Sant’Eufemia Vetere, da Caronte e dal castello di Nicastro. Proprio l’ultima vetrina ospita alcuni esemplari delle tipologie ceramiche rinvenute nelle campagne di scavi del castello che sono giunte fino ai giorni nostri, tra cui le famose pignate: tegami in terracotta con l’interno smaltato usate per la cottura di riverbero vicino al fuoco.
Grazie agli affioramenti di argilla buona nella piana lametina, nelle zone di Dipodi e di Palazzo è rinominata la presenza di una terra fortemente ferrosa che cotta produce stoviglie infrangibili, già il catasto onciario del 1746 segnalava 10 pignatari e un ceramicaro su Nicastro, associando il paese ai maggiori centri produttivi di ceramiche come Squillace e Seminara.
Le botteghe di pignatari e ceramisti si sviluppano, così, su tutto il territorio catanzarese avviandosi alla produzione di vasellame dal carattere quotidiano adatto alla popolazione contadina locale. Contemporaneamente si sviluppa anche un filone ad imitazione delle ceramiche di Faenza, questo però non influisce sulle forme originali tipiche del territorio: come nel caso della bumbula seminarese, meglio nota nel lametino come vozza, un recipiente biansato dal ventre panciuto, piede largo e stretta bocca orlata destinato al contenimento dei liquidi.
Si parla, inoltre, non solo di prodotti destinati all’uso domestico, ma anche di oggetti ornamentali dal carattere decorativo: è il caso delle graste a piede alto e i puntali che ancora oggi adornano le facciate dei principali luoghi di culto del centro.
Le botteghe restano attive fino agli anni Ottanta del Novecento con le famiglie Giampà, Fusto e Catanzaro che ne terminano il ciclo produttivo familiare. Tra le foto d’epoca che ancora circolano sui social qualcuno ricorda gli ampi mercati che prevedevano la vendita a terra del vasellame, in Piazza Sacchi. (‘U mercatu di vozzi).
Di questa secolare storia restano gli echi di poche maestranze locali, che con passione e sacrificio continuano a lavorare in un settore apprezzato solo da veri intenditori, amatori che riescono a distinguere con accuratezza il valore di un pezzo, frutto dell’arte di un vero maestro rispetto alla produzione massiva industriale.
Felicia Villella