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Vega Engineering, “la patente a punti per la sicurezza sul lavoro non basta”

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Ci sono voluti pochi giorni per l’approvazione della patente a punti per la sicurezza sul lavoro, mentre da anni siamo in attesa di normative programmate che non vengono ancora attuate. Una su tutte: l’accordo stato regioni e la regolamentazione della formazione dei lavoratori. Ovvero il più efficace scudo dei lavoratori contro gli infortuni.

comunicato stampa

Ci sono voluti pochissimi giorni, la scorsa settimana, per arrivare ad un provvedimento del Ministero del Lavoro in risposta alla tragica morte di 5 operai avvenuta nel crollo del cantiere per la realizzazione di un supermercato Esselunga. Un gesto politico eclatante, quello a cui abbiamo assistito, che pone in primo piano la patente a punti per i datori di lavoro.

E per chi come noi si occupa di sicurezza sul lavoro da più di trent’anni tale novità non può che essere accolta positivamente. Perché si auspica possa diventare uno strumento efficace per la tutela di tutti i lavoratori.

Ma tanta sollecitudine e zelo meritano anche una doverosa critica. Perché accanto a questo provvedimento ideato e approvato nel giro di pochi giorni in nome di una nuova forma di sicurezza, ve ne sono altri, già promessi, la cui attuazione stiamo aspettando da anni. Uno di questi è il tanto atteso nuovo Accordo Stato Regioni sulla regolamentazione della formazione per la sicurezza sul lavoro, fondamento imprescindibile per tutelare i lavoratori.

Questo Accordo avrebbe dovuto essere approvato già nel 2022, ma ad oggi non se ne hanno notizie. Due anni di ritardo, che diventano 12 quando ci si accorge che questo nuovo Accordo dovrà dare attuazione a provvedimenti tesi a prevenire gli infortuni nei lavori in spazi confinati che avrebbero dovuto entrare in vigore già nel 2012!

Di contro, invece, la patente a punti inizierà ad essere concretizzata già dal prossimo ottobre. Sono queste le due facce di una medaglia che raccontano come la questione della sicurezza sul lavoro non venga affrontata in modo logico e programmata secondo una strategia che miri ad intervenire affrontando la questione nel suo complesso. Ma, verrebbe da dire un po’ “all’italiana”, sull’onda delle passioni.

Perché 5 operai morti a Firenze hanno ridestato la coscienza della politica? Non sono sufficienti i 3 morti sul lavoro che ogni giorno, da anni, finiscono nelle cronache dei giornali? Ecco perché chiediamo alla politica di vegliare costantemente e non ridestarsi solo a fronte di eventi eclatanti sull’onda dell’emotività dell’opinione pubblica.

Perché il nostro Paese conta ogni anno oltre mille vittime. E sono più di 4.600 le vittime sul lavoro dal 2020 al 2023.

Perché i drammi plurimi, come quello di Firenze, in Italia negli ultimi anni si sono già purtroppo verificati e queste reazioni della politica le abbiamo già viste.

Ricordiamo nel 2008 la tragedia della Truck Center di Molfetta, l’azienda del nord Barese dove il 3 marzo 2008 morirono cinque operai in una cisterna per il trasporto dello zolfo liquido che stavano bonificando: dopo quell’evento fu varato un decreto che prevedeva di normare entro febbraio 2012 la formazione per i lavoratori addetti a questo tipo di lavorazioni. Sembra che finalmente tale provvedimento sarà presente nel nuovo Accordo Stato Regioni sulla formazione, che a sua volta, sempre secondo le previsioni di un altro decreto, avrebbe dovuto essere approvato nel 2022.

Oppure la strage di Brandizzo dello scorso anno, in cui cinque addetti alla manutenzione dei binari della ferrovia sono stati travolti da un treno.

Ora, dunque, prendiamo atto di questo “virtuoso” impeto del Governo volto ad invertire la rotta di un Paese che assiste pressoché inerme da anni al bollettino delle morti sul lavoro giorno dopo giorno, mese dopo mese.

Ma è certo che buona parte di queste tragedie avrebbe potuto essere evitata magari grazie anche all’approvazione più celere dell’Accordo Stato Regioni, ricordando che il precedente risale al 2011. E ancora una volta il tema della formazione è uno degli snodi centrali dell’Accordo e rappresenta senza alcun dubbio il cardine attorno al quale ruota la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.

È dunque indispensabile e urgente riordinare gli obblighi formativi per la sicurezza del Paese che lavora: dalle caratteristiche dei formatori, aspetto oggi non totalmente regolamentato, ad un nuovo rigore nella verifica degli apprendimenti dei lavoratori. Più serietà dunque nella formazione e dei percorsi definiti in termini di qualità e di quantità di ore di corso da frequentare.

Eppure in questi giorni nessuno ne parla. Perché è più facile chiedere e promettere nuove norme risolutive piuttosto che applicare efficacemente quelle esistenti o dare attuazione a quelle previste in decreti già approvati.

Tra l’altro la patente a punti non sarà uno strumento di contenimento infortunistico immediato: se anche entrasse in vigore il primo di ottobre e il giorno stesso si dovesse verificare un infortunio in un’azienda, sappiate che la decurtazione dei punti non sarebbe un iter così rapido. Ci vorrebbe, infatti, una sentenza penale o civile. Parliamo quindi di ben più di qualche anno. Intanto l’impresa continuerebbe a lavorare.

Potremmo, comunque, contare su un maggior numero di ispettori e di controlli. E questo è un punto del nuovo Provvedimento del Ministero del Lavoro che ci piace. Purché i controlli, ovviamente, siano condotti con professionalità e sulla base di un programma strutturato che parta dai dati statistici, dalle aree e dai settori più a rischio. Siamo convinti sempre e in ogni caso che la prevenzione necessiti anche delle norme repressive, almeno in un Paese con la cultura italiana. Non dimentichiamoci che in auto le cinture di sicurezza sono diventate un’abitudine grazie soprattutto ai controlli e alle multe. Deve diffondersi il senso di legalità. Incidenti e morti sul lavoro rappresentano una vera emergenza sociale ed è assurdo e inaccettabile che ancora oggi si perda la vita nella propria attività.

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