Venezia 74, pt.1: THE SHAPE OF THE WATER
2 min di letturaUn Lido mai così vivo e ribollente: partendo dal ritorno di Guillermo Del Toro, regista iberico talentuoso e fortemente visionario che mai come nel suo The Shape Of Water è riuscito a plasmare la materia di cui è fatto il suo universo in una forma così compiuta, emotivamente vincente, compatta e alla fine bellissima.
Nel film, l’autore del dimenticabile Pacific Rim “burtoneggia”, e non poco, a partire dalle partiture ispirate di Desplait che sottolinea con apparente semplicità compositiva il mondo magico in cui si muove la protagonista, Elisa, lavapavimenti muta in un laboratorio scientifico segreto.
Dove un giorno viene portato un essere marino ritrovato nella giungla, da un funzionario senza scrupoli che vuole ucciderlo, vivisezionarlo e utilizzare la scoperta per fini -ovviamente- militari.
Da questa trama magari banale partono però così tanti rivoli narrativi e caratteriali che si stenta, alla fine, a districarsi emotivamente dall’intreccio di Del Toro.
La forma dell’acqua (sarà chiaro alla fine, ma è sottinteso per tutto il film) è la forma dell’emozione,
indefinita ed imperscrutabile: ed è l’emozione che regna e scombussola la vita nei film di Del Toro, quel sentimento fortissimo, oscuro ma brillante che viene dal mistero, dalla magia, dall’amore.
Che puntualmente lo sviluppo della Storia (che sia la Seconda Guerra Mondiale, come ne Il Labirinto Del Fauno e La Spina Del Diavolo, o quella futuribile contro i mostri di Pacific Rim) cerca di contenere o di ingabbiare, ma che le anime drop-out riescono sempre a sconfiggere con la loro innocenza.
L’immaginario di Del Toro è quello, favoloso e immaginifico, spaventoso e affascinante, e non importa se la Creatura discenda direttamente dall’Abe di Hellboy e dal più celebre Mostro della Laguna Nera: il suo mondo è una commistione magica di magia e scienza così come il suo cinema lo è di horror, fantasy e melò.
Eppure, con The Shape Of Water, tocca le corde più profonde e firma la sua opera più compiuta, insieme forse al secondo Hellboy, arrivando proprio al cuore del cinema toccandone la forma più pura: il miglior cinema possibile oggi, fuso fra effetto ed affetto speciale.
Gianlorenzo Franzì